di Giuliano Masola. Aneddoti e storielle fanno parte del gioco, della leggenda, poiché danno colore, offrono una diversa interpretazione agli accadimenti, grazie alla fantasia. “Batting 1.000” è il titolo di un racconto di Daniel McAfee apparso nella rivista “The best of spitball” del 1988. Si tratta dell’incontro, o meglio della grande sfida fra il narratore, Don Moore, lanciatore dalle medie stratosferiche dei Padres, e Ted Higman degli Yankees, che si dicesse provenire da altri mondi. “Il calabrone”era alto poco più di un metro e mezzo, con un fisico pelle e ossa e due occhi gialli estremamente larghi (il viso minuto ne esaltava le dimensioni). Si diceva che dal suo lontano pianeta avesse ascoltato le nostre trasmissioni radio; grandemente incuriosito dalle prestazioni dei favolosi Yankees del ’27, aveva deciso di giungere in America e provare a giocare a baseball. Poco dopo esser giunto era entrato in squadra: dal primo giorno in poi continuava a battere 1.000, sconvolgendo stampa, tifosi e manager.
Alla fine del campionato Padres e Yankees si trovano di fronte nelle World Series, dove nel più classico dei casi, si giunge alla settima partita. Non solo, nell’ultima partita, in cui i Padres sono in vantaggio di un punto, si giunge allo scontro diretto fra Moore e Higman, sempre a media 1.000. Dopo cinque lanci, il conto è di 3-2. Don Moore, dopo un abboccamento coi compagni e il manager, decide di effettuare il lancio della vita: la palla più veloce mai vista. Higman sventola la mazza, ma la palla finisce nel guanto del ricevitore. Pochi si accorgono che la divisa del battitore si sta macchiando di sangue, mentre il corpo sta per finire a terra. Tutto pare congelarsi, ma dopo pochi istanti lo stadio si trasforma in una bolgia. Tutto diventa souvenir e, in questa affannosa ricerca, ci scappano anche delle vittime; del corpo di Higman non resta traccia. Il “commissioner”, allontanatosi per tempo dal campo, alla fine decide: il battitore è andato strike-out e, per la futura tranquillità del sistema, nessuno potrà più giocare in Major League, senza la prova scientifica che si tratta di un essere umano della nostra specie. Un finale di questo tipo sarebbe quasi banale: quello di uno scrittore di fantascienza (o fantabaseball, se preferite) alle prime armi, ma c’è una sorpresa. Don Moore, terminando la sua narrazione, dice di sapere una cosa che non ha mai detto, neppure al commissioner. Un attimo prima che iniziasse la tragica bolgia, era riuscito a prendere per sé la mazza di Higman: sulla parte più spessa c’era il foro di un proiettile. Ciò cambia un poco le carte in tavola, poiché pone delle questioni sempre aperte. Infatti, non è tanto impressionante la media mille tenuta dal Calabrone fino al penultimo lancio, quanto delle domande che ci si pone nei confronti di chi viene da fuori, da luoghi sconosciuti. Nel 1988, anno della pubblicazione del racconto, la Guerra Fredda era ancora una realtà, pur con la variante di una Cina in grande espansione e desiderosa di diventare una potenza politica ed economica a livello planetario. Ciò potrebbe far sorgere il dubbio che McAfee abbia inteso dare un segnale attraverso i grandi occhi gialli di Higmn: una nuova realtà con cui il Grande Paese deve confrontarsi. Gli emigrati per L’America non sono certo una novità, anzi è proprio nata da essi, ma un conto è l’affamato in cerca di pane e lavoro, un altro è trovarsi sul mercato prodotti altrui che fanno una spietata concorrenza. Ciò preoccupa, spaventa, soprattutto quando non si sa come fronteggiare una realtà imprevista. L’Autore, nelle ultime righe del racconto, evidenzia il fatto che Higman, colpendo la pallottola, ha evitato che la stessa colpisse ricevitore ed arbitro. Non importa che il lancio sia stato di 190 chilometri all’ora, quanto il prevalere di sentimenti che possono accomunare esseri umani ed extraterrestri. La decisione del commissioner di escludere dal gioco chi non è un umano è classica per chi non vuole affrontare i problemi. Si tratta di un tipo di non decisione che rimanda i problemi, senza superarli; lo vediamo anche in questi giorni. Ogni battitore sogna di avere 1000 in media battuta, ma sa bene che si tratta di un obiettivo, di una piccolissima probabilità statistica. C’è un’altra media che si può tentare di raggiungere, quella della comprensione e della solidarietà. Ogni giorno si scoprono nuovi e lontani pianeti; alcuni di loro presentano caratteristiche assimilabili a quelle della nostra Terra. Gli scrittori e gli amanti della fantascienza da tempo tentano di descriverne gli abitanti, esseri pensanti dal diverso grado di civiltà. Tanti altri cercano di scoprire sulla nostro pianeta tracce di viaggiatori dello spazio. Nonostante tutto siamo impreparati all’”incontro ravvicinato del quinto tipo”, vis à vis, magari su un campo da baseball: saremmo disponibili a dargli una mazza in mano?
Giuliano Masola, 17 luglio 2017