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Un po’ di riposo?

di Giuliano Masola. “Chi si dedica agli esercizi fisici non si preoccupa soltanto della forma e dell’allenamento, ma anche al momento giusto del riposo – ritengono infatti sia la parte più importante della pratica atletica…”. Si tratta dell’incipit delle “Storie vere” di Luciano di Samosata (morto nel 180-190 d. C.).

Penso che possiamo essere d’accordo con la sua asserzione, anche se si tratta di uno scrittore che chiarisce subito ai lettori la propria posizione: “ho scritto queste cose/ che già sapevo antiquate e sciocche/ perché agli uomini sciocche sembrano essere/ anche le cose che sembrano sagge…”. Di fronte a ciò mi vien voglia di deporre la penna (elettronica) e di andarmene a fare una passeggiata. Sulla prima parte de discorso, direi che ci sono poche cose da dire, anche se talvolta, ad esempio, siamo facciamo riposare i lanciatori più per rispettare il regolamento che per nostra volontà. Sappiamo bene che quando si arriva al momento cruciale di una partita “da soldi” si tende più a seguire le parole di Leo Durocher, grande giocatore e allenatore dei Giants e dei Dodgers, che le raccomandazioni dei preparatori atletici: ”Non risparmiare un lanciatore per domani; domani potrebbe piovere”. L’eccezione, però, non deve fare la regola. Riposo, in senso atletico, non significa starsene in panciolle, ma svolgere un’attività diversa, più allenante per la mente che per il corpo; il tutto per un tempo limitato o stabilito. Chi fa, o comunque ama, il baseball e il softball soffre quando non ci sono partite, o quando, a causa di un infortunio, è costretto a starsene fuori dal campo. Questo è un buon periodo per leggere, studiare, imparare e scrivere. Si parla ad esempio di visualizzazione, senza sapere esattamente che cosa è, a cosa si riferisce; non potremmo guardarci intorno, cercare testi, o parlare con chi può essere un esperto in questo campo? Magari abbiamo un amico oculista, in grado di spiegarci i meccanismi della ricezione e il trattamento delle immagini nel nostro cervello, dei tempi di reazione, ecc. Possiamo anche guardarci qualche buon film, che magari con il baseball ci azzecca poco, ma che ci può dare spunti sul modo di rapportarci ai giovani, e così via. Probabilmente la parte più difficile è scrivere, poiché mettendo nero su bianco ci esponiamo: contemporaneamente, il nostro sapere e la nostra ignoranza sono lì, davanti a tutti. Ogni parola che scriviamo fa parte delle confessioni che facciamo, prima a noi stessi, poi agli altri. Ciò non significa fare meditazioni quotidiane sul famoso libro di Sant’Agostino, ma approfondire, non banalizzare, cercare di essere chiari. Ogni allenatore, ogni giocatore ha la propria esperienza, sia pubblica che privata, e questa finisce per intravedersi in un racconto, in una lettera, in un libro; soprattutto, per chi ha ancora la grande capacità di farlo, un diario. Certamente si può barare col lettore, anche con se stessi, ma la cosa non può andare per le lunghe. Il rischio è la confusione fra verità e menzogna, con quanto ne può conseguire, sia dal punto di vista mentale che comportamentale. Nella sua “Storia”, Luciano di Samosata ci porta in un mondo da fantascienza, dove partecipa a battaglie fra il sole, la luna e le costellazioni. Al rientro sulla terra, come Giona – e Pinocchio – finisce nel ventre di una gigantesca balena, ma riesce a trovare il modo di liberarsi. Il suo obiettivo è raggiungere la terra che sta contrapposta all’Europa (non esattamente quella attuale), superando le Colonne d’Ercole verso l’incognito. Esempi di chi ci aveva provato prima di lui ne aveva avuti, a cominciare da Ulisse (ma per Luciano Omero era un mentitore, ovviamente). Tutta fantasia? Bella domanda. Certamente, Cristoforo Colombo non è stato il primo a mettere piede sul Nuovo Continente e, come sappiamo, fu abbastanza sconvolto, una volta resosi conto che non si trattava della Cina, ma di una terra che si frapponeva al raggiungimento della sua vera meta. Colombo non giocava a baseball, così come non lo giocavano i principi arabi di Cordova e Granada appena sconfitti. Però, si giocava qualcosa di simile fra i nativi americani – nell’isola di Cuba gli antichi Taino giocavano a “batey” – e, come si dice, “da cosa nasce cosa”. Proprio in quelle terre che vanno dal Mar dei Caraibi al Mar del Giappone, il baseball è diventato uno sport di massa e, in diversi casi, lo sport nazionale. Il grande genovese (di origine piacentina?) non avrebbe mai immaginato una cosa simile; inginocchiato su una spiaggia dell’isola che aveva battezzato col nome di S. Salvador, pensava soprattutto a far rendere remunerativa quella storica traversata. Ciò non gli diede tempo di riposarsi e la capacità di arginare le brame di chi era con lui. Il seguito è una triste storia, con un finale non certo degno di chi aveva portato alla Spagna un intero continente… Alt! devo fermarmi, altrimenti seguo le orme del “sofista vagante” di Samosata. Dove eravamo arrivati ?… al riposo… sì, al riposo. Vedete? non ce la faccio e sto andando in superallenamento. Devo distrarmi: andrò a caccia di conchiglie capaci di raccontarmi qualcosa; se mi capita di ascoltare storie interessanti ve lo riferirò, poiché “non c’è un pensiero superiore/ fra gli uomini – ma quello che tu ammiri/ per gli altri è solo soggetto di scherno…”.  Giuliano Masola, 19 luglio 2017 (Cannitello, dopo un fortunale)