Di Giuliano Masola. Le cattive notizie finiscono per colpirci non più di tanto, quasi ci lasciano indifferenti. Purtroppo, però, l’ennesimo caso di uccisione di massa accaduto nei giorni scorsi negli Stati Uniti, lascia interdetti. Diciassette persone morte, fra studenti, professori e allenatori, più altri in gravi condizioni. Il dramma è avvenuto nella Marjory Stoneman Douglas High School, a Parkland, in Florida. Parkland è la città di Anthony Rizzo, prima base dei Chicago Cubs, che ha anche vestito la maglia della nostra nazionale nel World Baseball Classic del 2013, grazie ai genitori originari di Cimminna, una cittadina in provincia di Palermo. Saputo dell’accaduto, Anthony è subito tornato nella sua città con la famiglia, e lì ha tenuto una veglia funebre. Credo possa essere importante riprendere alcuni passi di ciò che ha detto a chi gli stava intorno al suo arrivo. “Sono cresciuto alla Stoneman Douglas. Ho giocato in quei campi, Sono stato in quelle aule e mercoledì li ho rivisti per motivi sbagliati”. Impressionato e commosso dal modo in cui i compagni di scuola partecipavano al dolore delle famiglie colpite, ha proseguito: “Sono un giocatore di baseball, uno cittadino della Florida e di Parkland da una vita. Pur non avendo tutte le risposte, credo che qualcosa debba cambiare, prima che ciò accada a un’altra comunità e a un’altra comunità e a un’altra comunità. Come uomo, come persona di senno, ha avuto parole decise, chiedendo di porre fine alla violenza. Oltre a ciò, ha inteso ribadire un concetto, che da noi pare dimenticato: la comunanza. “Sono ciò che sono poiché vengo da questa comunità, Voglio che sappiate che voi non siete soli nel vostro dolore. Soffriamo tutti con voi. La comunità intera soffre con voi. Tutto ciò che può servire lo farò; sarò con voi. Darò tutto il mio aiuto a studenti, insegnanti, allenatori, famiglie e a chi dà loro soccorso”. Anthony Rizzo ha pregato e pianto con loro e per loro. Campioni si è per tanti motivi, soprattutto lo si è, se si anche uomini. Da quando è diventato un professionista, in particolare coi Cubs, coi quali ha vinto le World Series, ha sempre sostenuto la sua città, la sua suola e non solo, ricevendo anche riconoscimenti per la sua filantropia. Proprio la sua scuola è stata al centro di un ennesima tragedia. Certo, ognuno reagisce come può di fronte a fatti sconvolgenti. Come di consueto, ahimè, salta fuori che chi ha sparato è un giovane con dei problemi, una persona di cui si conosceva tutto, salvo il momento in cui ha deciso di fare una strage. Nulla nasce per caso: disadattamento, emarginazione, abbandono della scuola e altro, hanno finito per generare un assassino, un giovane assassino. Credo sia proprio questo il punto che dovrebbe interessarci, toccarci, scuoterci. La violenza nasce in modo subdolo, da piccoli fatti, soprattutto dall’ignoranza, ingigantita dalla falsa e tendenziosa comunicazione. Ritengo che sia proprio per questo che l’impegno degli adulti sia così gravoso. Ogni volta che ci incontriamo con ragazze e ragazzi, che dirigiamo, arbitriamo, alleniamo, assistiamo a una partita, ci troviamo di fronte a un compito fondamentale, quello della formazione, dell’educazione. Proprio per questo abbiamo il dovere di tenere costantemente distinti agonismo e violenza. Nel nostro sport utilizziamo attrezzi che possono far male, per cui cerchiamo di proteggerci, ma niente ci difende da chi pensa di spingere al massimo sull’acceleratore della motivazione, cercando di sopraffare l’avversario con mezzi diversi dalla abilità tecnica. Non è una rarità, ma è una situazione che va evitata, ed eventualmente sanzionata. È vero che tutto è facile in teoria e che in campo è diverso, ma lo sforzo di evitare che la violenza generi persone violente e pericolose va costantemente perseguito. Si parla di tante cose, si studiano tante regole, ci si svena per stabilire quando giocare, ma raramente si parla di educazione. Eppure, il nostro è un gioco in cui l’ignoranza porta alla sconfitta, in cui si richiede un costante impegno mentale, oltre che fisico. Il talento, da solo, può rendere vincenti solo a breve termine: senza studio, disciplina, amore per il gioco, si smette presto. Oltre a ciò, il nostro è un gioco che comprende tutti e tutto: il singolo per la squadra, la squadra per il singolo; il classico “tutti per uno, uno per tutti”. E tutti significa proprio tutti. La nostra squadra, quella che si trova in un campo, dagli spettatori ai manutentori, è una comunità, che a sua volta è parte della comunità. E, se ci guardiamo intorno, vediamo quanti stanno cercando di incrinare la nostra intera comunità, con modi subdoli, accattivanti, per ragioni che sono sempre legate al potere e al denaro. Chi si sente, chi crede di essere davvero un uomo di sport non ha problemi in questo senso, poiché sa molto bene che le ragazze e i ragazzi che gli sono affidati sono i cittadini, che dovranno formare a loro volta altri cittadini. Sapere educare è molto difficile e per questo non si impara mai abbastanza. Il mondo cambia, certo, ma sarebbe una gravissima responsabilità, e colpa, far comprendere che con la violenza si possa ottenere il successo. Anthony Rizzo, dal buon sangue siciliano, ci ha detto, fra le lacrime, quanto valga far parte di una comunità, di un mondo per cui vale la pena di fare sacrifici e, anche nella tragedia, trovare la forza di andare avanti.
Anche questo e Baseball.
Giuliano Masola, 17 febbraio 2018