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Pre-Play ball!

Di Giuliano Masola. Riprendendo, in senso opposto, una nota canzone di Guccini ‒ Per fare un uomo è  stata una specie di tormentone per almeno un paio di generazioni ‒ potremmo dire che “l’inverno è finito e l’estate e alle porte”, anche se c’è la neve e si prospetta un settimana piena di gelo. Per amore o per magia succede così: ci sono dei bambini in una palestra, c’è n torneo che (grazie al Cielo!) in cui regna la semplicità e la mancanza di burocrazia,  dove trovi quelli che non ce la fanno a smettere. “Eh, quest’anno ho i più piccolini e c’è un sacco di lavoro da fare..”, dice un allenatore. “Ce li ho anch’io e ce ne sono due o tre che promettono…”, dice un altro. “E quando ricominciamo con le scuole?”. Ci si ritrova tutti immersi in un vocìo che pare superare ogni soglia acustica. Beh, come si fa a lasciare dei ragazzi da soli, a non dare loro l’importanza che meritano. Sono lì per imparare e, con tutti i limiti, il nostro impegno è quello di insegnare. I ragazzi “più vecchi” si conoscono, frequentano talvolta le stesse scuole e giocano insieme, non solo a baseball. C’è la voglia di ricominciare, di scuotersi dal torpore dell’inverno, di una preparazione spesso tanto noiosa, quanto necessaria. È il momento per cominciare a ripassare le regole, a rendersi conto di cosa succede in campo, anche se nei limiti di una palestra. Voglia e grinta cercano di superare le limitate conoscenze tecniche, ma queste si apprendono nel tempo. Un piccolo momento magico, cui partecipo volentieri. Non importa quanti giocatori ha una squadra, se manca qualcuno, pazienza: l’importante è giocare. E tutto questo a poco più di un mese dall’inizio di campionati in cui spesso gli adempimenti burocratici fanno perdere di vista il vero obiettivo. Certo, bisogna esser a posto con le visite mediche, assicurati, protetti, Soprattutto bisogna aver pagato la tassa gare e quant’altro. Tutto, dal punto di vista formale, deve essere ineccepibile, così i professionisti della poltrona possono dormire sonni tranquilli. Cosa volete, sono nato a Gaione una domenica di Carnevale, per cui capisco poco e dico corbellerie. Soffro limitazioni di spazio, di libertà, soprattutto la stupidità inutile e gratuita che ci circonda. Eppure, mi pare che ci sia qualcosa di strano. Uno degli slogan che ci hanno rintronato le orecchie per diversi anni è stato quello di essere liberi di fare ciò che si vuole, in un mondo senza regole: ne stiamo vivendo, e subendo le conseguenze. Il motivo è semplice: quella sbandierata prospettiva di libertà valeva ‒ e vale ‒ solo per chi ha mezzi e potere, mentre per gli altri resta una pia illusione. La cosa cui più mi ribello, però, è il progressivo trionfare dell’ignoranza. In questo, il nostro mondo del batti&corri non scherza. Una semplice considerazione: c’è un nuovo presidente da ormai un anno e mezzo, con un nuovo consiglio federale, ma cosa c’è di nuovo, di significativamente diverso dalla situazione precedente? Cosa è stato fatto, al di là di una triste lunga discussione sulla formula del massimo campionato? Io non mi sono accorto di nulla, al di fuori dell’inesorabile passare del tempo. Resta un tema di fondo: la mancanza di preparazione. Ognuno di noi, in qualche modo, si attrezza, sia nel corpo che nella mente, per una nuova stagione, a un nuovo campionato. Mi rendo ogni giorno più conto che il vero obiettivo è raggiungere la sedia, poi in qualche modo si farà: per quattro anni si può anche vivere tranquillamente, senza disturbare e, soprattutto facendo in modo di non essere disturbati. Il tema è sempre quello: la capacità di illudere, lusingare, promettere. Nel baseball si è raggiunta la perfezione, a mio parere: non si promette nemmeno, né si illude: si parla del passato, soprattutto se è pieno di guai (Caro Vasco, dove sei…?). Ma forse sono troppo polemico e la mia scarsa vista mi impedisce di vedere il bello, il meglio. Cartesio ‒ il filosofo del dubbio ‒ arrivò a concludere che poiché nulla è certo, posso dire di esistere solo perché penso. Da quello che si vede in circolazione, pare che sia restato l’unico, con un gioco di parole, a pensarla così. E poi, a noi, che ci importa dei filosofi: dobbiamo tirare una palla, prenderla, batterla e correre più forte della stessa. Meglio starcene buoni, poiché c’è chi è bravissimo a pensare per noi (forse ce n’è più di uno): c’è n’è una fila in attesa. Meglio lasciar perdere e andare verso una vera innovazione. E ce n’è una in arrivo, anzi è già arrivata, anche se non è ancora alla luce del sole: cambia lo sponsor sulle magliette degli arbitri, che però dovranno continuare a pagarsele: un certo “Johnson” ha preso il posto di “Macron” (un “ritorno al passato”, se si parlasse di presidenti, ma il discorso ci porterebbe troppo lontano). Un nuoov sposnsor ceratmente darà una maggiore carica a chi dirigerà le gare di (alcuni avrebbero voluto John Wayne, ma poi si sarebbero dovute adottare pettorine antiproiettile, per sicurezza). Peccato che tanto sforzo per recuperare e ristampare magliette non sia stato almeno compensato da un altrettanto sforzo per trovare nuovi arbitri: forse non se ne sente il bisogno. Verrebbe voglia di mandare tutti a quel paese, ma le bambine e i bambini che ti sorridono, ti salutano, ti rispettano, ti convincono a riprendere gli attrezzi, anche se le ginocchia ogni anno cigolano un po’ di più. Così, non resta che ricambiare il loro sorriso con un impegno che va oltre le miserie che ci circondano, affinché un campo da baseball resti una palestra di responsabile libertà.

 

Giuliano Masola, da Sala Baganza, 25 febbraio 2018