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Grazie, Gian Carlo

di Giuliano Masola. Da qualche mese Gian Carlo Rosetti non si occupa più dei calendari delle partite per la nostra area (Parma e provincia). Il Consiglio Regionale recentemente aveva deciso un affiancamento che non è stato gradito, anzi ritenuto come un invito ad andarsene, cosa che elegantemente Gian Carlo ha fatto. Una situazione imprevista, poiché, da un giorno all’altro, si è passati dal consenso unanime all’ostracismo. Certo, gli anni lasciano il segno, il carattere magari si indurisce un po’, le situazioni si evolvono (si cerca di fare il massimo dell’attività avendo pochi atleti a disposizione), per cui non c’è da meravigliarsi. Quanto accaduto non è un caso raro e, semplicemente, ci si potrebbe passare sopra. Ma non sono d’accordo, non sono proprio d’accordo sul lasciare che tutto resti nel silenzio, nel disinteresse. I cambiamenti sono necessari, ma occorre gestirli, soprattutto quando si ha a che fare con una realtà complessa, in una società che fa una estrema fatica a stare insieme, a tutti i livelli, come possiamo facilmente constatare. Purtroppo ciò è collegato al fatto che non esiste più un Comitato Provinciale da sei anni ‒ e non se ne vede un ripristino in futuro ‒ con una sede in cui i rappresentanti di società, e non solo, possano confrontarsi. Pertanto, possono bastare poche persone a decidere; i restanti sapranno a “babbo morto”, come si dice. Beh, essere messo alla porta dopo 44 anni di duro e costante servizio fa pensare. Da  un giorno all’altro nessuno ti telefona più, ti scrive più, magari manco ti saluta. Nel 1929, i Philadephia Phillies vinsero le World Series battendo i Chicago Cubs e Babe Ruth, l’11 agosto, realizzò il suo 500° fuoricampo. Poco tempo dopo, il 24 ottobre, l’inaspettato crollo di Wall Street mise in ginocchio l’America, coinvolgendo, a distanza di pochi mesi, l’Europa.

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BASA – PALLA da pronunciarsi: Bes-Bol

di Giuliano Masola. Immagino che il primo pensiero vada a un goccio di troppo, ma siamo in Quaresima per cui cerco di fare il bravo. In realtà, si tratta del titolo di un articolo apparso nel febbraio del 1950 su “Il nuovo Bajon – mensile umoristico politico e sociale”, rivista di 8 pagine che costava 50 lire (all’epoca cifra non irrisoria). Una doverosa premessa. Il Baseball, a Parma, era ufficialmente nato il 15 giugno del 1949, per cui restava un gioco pieno di interrogativi. “Non è stato ancora ben precisato se l’uomo dell’età della pietra che come ben si sa aveva l’abitudine di andare in giro con una clava sia l’antico progenitore dell’attuale gioco del Baseball”, inizia così il lungo articolo su tre colonne con l’immagine di Babe Ruth nella sua classica posizione post fuoricampo. “La diceria trova credito in quanto sembra che il nemico, se era uomo, per difendersi da questa nuova arma spellasse un brontosauro e con la sua pelle si facesse un rudimentale guanto con cui afferrava al volo il sasso – battutogli addosso – e lo rispediva al mittente”.

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Un piatto di Baseball

di Giuliano Masola. Andare allo stadio, spesso, significa non solo gustare l’incontro, ma anche mettere qualcosa sotto i denti. Chi è andato a vedere anche una sola partita di baseball in America o in Giappone probabilmente si sarà lasciato attrarre da qualche variegato hot dog, alette di pollo, sushi d’occasione, patatine, fette di torta ipercalorica e zucchero filato multicolore (per i più piccoli s’intende). Mettere qualcosa sotto i denti e bere qualcosa aiuta a vivere i cambi di campo con più distensione. Permette, soprattutto di familiarizzare, a cominciare dalle battute scambiate coi venditori. Il baseball fra i suoi antenati ha giochi da ragazzi, ma anche, più nobilmente, vista l’origine britannica, il cricket, comprese le soste per il tè. In un continente da conquistare non c’era tanto tempo per giocare, per cui ci si adattò alle circostanze. Tutto doveva essere abbastanza semplice, divertente e l’attrezzatura limitata all’essenziale: un bastone, una palla confezionata con quel che c’era, dei sassi da porre come base. Anche il numero dei giocatori era variabile: giocava chi c’era, con l’unico accorgimento di averne un numero uguale per squadra; anche il numero degli inning poteva variare. Solo nel 1856, i Knickerbrokers, dopo lunghe discussioni, decisero per nove giocatori in campo e nove inning. Un tema rilevante era quello del piatto di casabase. Ancora sul finire dell’Ottocento, mentre il lanciatore, si poteva muovere all’interno di un rettangolo posto a una quindicina di metri dal battitore, il piatto doveva stare ben saldo e fermo e per fare ciò si utilizzava qualsiasi cosa di una certa consistenza: un pezzo di metallo, di marmo, una pietra liscia, perfino una lastra di vetro, con un unico obbligo: la forma circolare ‒ un piatto appunto ‒ e un piatto i pionieri lo portavano sempre con sé. Pur cercando di sistemarlo a livello del terreno, il piatto finiva per sbordare sempre un po’, per cui il calpestarlo, e soprattutto scivolargli contro, comportava dei rischi, considerando anche il numero altissimo di punti che venivano segnati ‒ intorno al 1840 anche cento complessivi, in soli sei inning. Con quel piatto tondo, ma molto duro, contusioni e ferite erano normali. Intono al 1880 si decisero modifiche importanti: l’uso di un piatto di gomma (invenzione di Robert Keating) o di marmo e una forma quadrata, in linea con le basi; qualche anno dopo, nel 1888 si stabilì anche la misura: 32 cm. per lato). La situazione, per i corridori lanciati a punto migliorò, ma non più di tanto. Fra l’altro, si creò subito un problema: come si poteva giudicare un lancio quando la palla doveva passare per un singolo punto? La soluzione fu trovata dando una forma squadrata alla parte rivolta al lanciatore, in modo da poter decidere meglio gli strike: la forma pentagonale che ancora oggi utilizziamo.

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Ci vediamo il 17

di Giuliano Masola. Ci sono delle occasioni che vale la pena di non perdere, soprattutto quando si ha l’opportunità di parlare, discutere, lanciare proposte, fra persone che mirano a un obiettivo: dimostrare la validità di una attività sportiva, di una proposta ludica che tutti possono cogliere. Come diceva Satchell Page: “Come fai a saper quanti anni hai, se non sai quando sei nato?”. Certo, è l’estremizzazione di un concetto, di un modo di essere, soprattutto del modo di esistere.

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Lanciare…la Storia

di Giuliano Masola. Da un po’ di tempo sto raccogliendo materiale sulla Grande guerra, in particolare lettere, diari, ricordanze, foto. Ogni documento porta con sé una storia, quella di uomini al fronte e di famiglie in attesa. Per poter trasferire la loro vicenda in pubblicazioni e relazioni è necessario cercare figli e nipoti che possono portare testimonianzaCiò che emerge è una realtà molto più dura e diversa da quella che spesso viene rappresentata. Nei giorni scorsi, per poter arricchire le mie conoscenze ho letto un libro di memorie del Tenente Scopa (Alfredo Graziani), “Fanterie Sarde all’ombra del Tricolore”, fiero combattente della Brigata Sassari, quella che canta il proprio inno mentre sfila il 2 giugno, Festa della Repubblica.

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