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Scusi, dov’è il “Bronx”?

Giuliano Masola. Nel 2002 Giancarlo Burani ha pubblicato “Bande giovanili a Parma nei primi anni Ottanta”, una ricerca in cui si ha cercato di comprendere, in particolare, la vita di una di queste, che ha avuto la sua epopea nei primi anni Ottanta. Erano anni in cui la contestazione stava correndo la china della violenza; le azioni terroristiche erano in qualche modo imitate soprattutto di giovani che finirono per formare bande; pochi erano fra loro i maggiorenni e non tutti avevano la fedina pulita.

Troppi erano gli adolescenti per un quartiere che aveva iniziato a espandersi all’inizio degli anni Sessanta: poche possibilità di svago, e ancor meno quella di riempire i lunghi vuoti fuori dall’orario di studio e di lavoro; in take situazione i bar erano una specie di salvagente. In una situazione in continua crescita ed evoluzione la libertà era intesa da alcuni gruppi come la possibilità di andare oltre i limiti, sfidando le forze dell’ordine e mettendo in crisi le famiglie. Non erano sufficienti le scazzottate con altre bande, gli scherzi pesanti, le imprese da superman, come salire sui traliccio più alto della Cisa per vedere il mare, le corse sfrenate in Vespa attaccati con un cordone, gli equilibristi sul parapetto di una ponticella; l’ansia interiore non era mai completamente appagata. Così, la droga, per tanti giovani, in particolare, ha rappresentato una via di fuga, una strada che ha generato delinquenza e ha portato in più di un caso alla morte; fascino della banda e a quello dell’abbandono a sogni irrealistici per loro non è stato facile sfuggire. Consiglio di quartiere, parrocchia, società sportive e Centro Sociale facevano del loro meglio per arginare una situazione che tendeva sfuggire di mano. Un intervistato lo ha ben evidenziato:“Io fino a quindici anni non ho conosciuto nessuno della banda perché frequentavo il gruppo del baseball… quindi il baseball mi ha un po’ trattenuto e se avessi continuato con il baseball, probabilmente non sarei andato al bar… cioè non è stata una cosa negativa il baseball, semmai è stata una cosa negativa, a quel tempo, il bar… poi mi sono capitate delle delusioni personali e io, in un momento di smarrimento, ho abbandonato il baseball. Il mio mito non era più Joe Di Maggio ma era diventato quello che nel quartiere diventava il più forte, quello che aveva la Vespa che andava di più, quello che appariva di più”. Proprio in quel quartiere, con alcuni amici era nata una delle prime società di baseball di Parma; col tempo era stato costruito anche un campo vero e proprio: un luogo di sport e aggregazione all’inizio, un luogo in cui era fin troppo facile trovare siringhe poi, tanto da doverlo dismettere. Solo a distanza di anni l’intervistato si è reso conto che abbandonare certi idoli sportivi per seguire certi eroi della strada non è stata la giusta scelta. Vivere in questa zona della città significava confrontarsi con una realtà complessa, con una comunità composta da ex “capannoni”, “terroni” e gente di campagna con le pezze sul fondoschiena. Attraverso lo sport, baseball compreso, si cercava di fare gruppo, di combattere l’idea che per essere forti e riconosciuti occorresse far parte di una banda che cercava la supremazia  con l’uso della violenza; il vedersi ritratti sul giornale quali protagonisti di bravate inorgogliva. “Dove sei andato Joe di Maggio… Joltin’ Joe è partito e se n’è andato via…” Quei versi che rimbalzavano assieme alla pallina contenevano un messaggio che non era facile da comprendere: non era tanto Lo Yankee Clipper che mollava le ancore, quanto una gioventù che prendeva una strada ben diversa dai campi da baseball. Al posto delle bande oggi si parla di bullismo, un atteggiamento che può riflettersi anche all’interno delle nostre squadre, delle nostre società. L’idea di usare una mazza per picchiare forte una palla è bella, se è utile per correre sulle basi. Talvolta capita di incontrare giovani che fanno fatica a capire cosa significa essere in campo, dover ubbidire a certe regole, a comprendere che l’avversario non è un nemico da distruggere, ma solo un avversario con cui misurarsi. Magari sono bravi, grandi e grossi e pensano che debbano automaticamente comandare. Un conto è l’esuberanza, la voglia di mostrare le proprie abilità, un’altra una condotta che può procurare seri guai nel tempo. Il mondo del baseball è pieno di atleti che hanno avuto trascorsi difficili, non solo da ragazzi: solo alcuni hanno compreso cosa bisognava fare per dimostrare di essere veri uomini e grandi giocatori. Credo che ogni città abbia un quartiere, una zona, dove la vita non è facile, in cui tanti cercano una scorciatoia per arrivare al successo. Alla domanda “Perché il quartiere è denominato Bronx”, vi è la risposta di un ex componente della banda più famosa.” Secondo me però è stato dato dall’esterno, forse dai giornali. Non viene da noi, Il nostro nome era Quartiere Montanara. Dall’esterno ci vedevamo un po’ come questo ‘quartiere-ghetto’, con queste bande… a noi non dava fastidio, però non ci identificavamo nel Bronx, noi eravamo via Montanara e basta… Montanara All-stars appunto”. Chiamatelo come volete e se volete giudicatelo, ma sappiate che in quel quartiere il baseball ha avuto una sua culla e tanti bravi giocatori hanno fatto tanti sacrifici per farlo crescere e migliorare, dargli una dignità. Ed è per questo che il mio cuore, come il tamburo di un famoso film, continua a battere proprio lì.

Giuliano Masola

16 maggio 2021