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Battiamo la Violenza

di Giuliano Masola. Nel 1967 è uscito il film di Tom Laughlin Born to loss, uscito in Italia con il titolo di Violence. La vicenda si svolge in una cittadina della California, dove una banda di teppisti ne compie di tutti i colori; in particolare usa violenza sulle donne, che però, non hanno il coraggio di denunciare i loro stupratori. Come di consueto, c’è uno che si ribella e riesce fare arrestare i colpevoli dalla polizia. Al di là delle scene violente (oggi ne vedremmo di ben più crude), il messaggio è molto semplice: in America, così come ci siamo liberati dai banditi, ci liberiamo dai violenti. Tra il dire è il fare, però… In questi anni, in cui la sopraffazione è divenuta dominante, anche le peggiori notizie non sconvolgono più di tanto. Resta da stabilire a chi dare la colpa, di chi è la responsabilità. 

Battaglia persa. Anche nello sport, purtroppo, esiste la violenza, quella che spesso da verbale si trasforma in fisica.  Gli episodi sono tanto numerosi da non farci più caso. Sulla ricerca delle cause ogni esperto, e non, dice la sua. Alla fine la colpa è della “società”. Personalmente, sono arcistufo di sentire come giustificazione che la colpa – leggasi responsabilità – è degli altri. Andando spesso in campo, in senso lato, mi rendo sempre più conto della perdita progressiva di un elemento base: l’educazione.  Diciamocelo francamente: siamo a livello di Basso impero. Il rifiuto, più che l’abbandono, di certi principi elementari rappresenta una tragica perdita complessiva. Di fronte alle stragi quotidiane (non solo terroristiche) voltiamo “tranquillamente” le spalle. La nostra scarsa – per alcuni, strumentalmente inutile – cultura non fa che aprire sempre più le porte all’ignoranza, rafforzando il potere di chi certo, pur predicandolo, non vuole certo il bene comune. In campo si vedono tante cose che mi preoccupano ogni giorno di più. Ci sono manager e squadre che fanno della furberia e della esagerata pressione sugli avversari e sui propri giocatori – anche questa è una forma di violenza – un mezzo per vincere ad ogni costo. Nei giorni scorsi, al termine di una partita in cui una delle squadre avrebbe dovuto essere rullata, almeno sulla carta, ha finito per vincere, al momento del saluto a fine partita, un ragazzino ha alzato il braccio facendo le corna. L’ho letteralmente sollevato da terra: nessuno ha visto nulla, fortunatamente, tranne lui ed io: spero abbia capito. Nel mio ruolo dovrei espellere persone, redigere rapporti, far prendere squalifiche, e così via.  Lo faccio il meno possibile, per un semplice motivo: non credo che multe e squalifiche siano risolutive. Il problema è modificare la testa delle persone. In una scuola, un ragazzino di nemmeno otto anni, assolutamente indisciplinato, ha continuato a controbattere il maestro per un po’. Alla fine mi sono stufato, e gli ho chiesto se a casa sua si comportava allo stesso modo: la risposta è stata tragicamente “sì”. Alla fine, la lezione è stata sospesa; una sconfitta che mi ha colto estremamente impreparato. Ci sono, però, anche fatti positivi. Una ragazzina che all’inizio dell’anno scolastico era praticamente ingestibile, ora è parecchio migliorata: le sue forme di ribellione sono più “soft”. Purtroppo la divisone dei suoi genitori si abbatte su di lei in modo fin troppo evidente.  La sua rivolta, in realtà era – e in parte ancora è – la richiesta di affetto, di Amore, quello con la “a” maiuscola. In questo caso, un lavoro combinato scuola e attività sportiva può essere di grande aiuto. Quando parliamo di violenza nel baseball pensiamo ai brawl, alle risse in campo, il più delle volte causato da un lancio che colpisce volontariamente un battitore. Il battitore cerca di scagliarsi contro il lanciatore: qualche cazzotto, qualche strattone, tutti in campo si fronteggiano; escono anche i lanciatori dal bullpen; alla fine gli arbitri espellono alcuni e tutto ricomincia. C’è una cosa importante però: le riprese televisive non indugiano mai su scene di violenza, per non produrne dell’altra. Un’altra forma di violenza è quella del ricatto psicologico. Non so se è ancora di moda, ma negli anni in cui ho diretto una società, mi si presentava ogni tanto qualche genitore che veniva a dirmi che il figlio non avrebbe più giocato per me, anzi non avrebbe più giocato (oltre al classico “Mio figlio deve lanciare, non lo fate mai giocare…, etc.). Poiché sono sempre stato un ottimista e creduto nell’onestà delle persone, dopo qualche discussione ho acconsentito. Però, dopo poco tempo, ritrovavo lo stesso ragazzo come avversario e i genitori con un sorriso beffardo sulle labbra. Certamente gestire la violenza in tutte le sue forme non è facile, anche se penso che il problema venga “dal manico”. Quando di fronte a comportamenti di un certo tipo, sanzionati o meno, il responsabile di una società continua a supportare persone assolutamente ineducate e sostanzialmente inadatte (conoscere bene il gioco non significa sapere insegnarlo, né tantomeno guidare una squadra), è evidente che il problema non può trovare soluzione. Ritengo pertanto che dovremmo compiere tutti uno sforzo comune per riaffermare ciò che ci permette di vivere insieme, basato sul convincimento e sul buon esempio; al contempo, usare fermezza e determinazione per estirpare la mala pianta: sono le mele marce che infettano quelle buone. Giuliano Masola 6 giugno 2017