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Foul & spritz!

di Giuliano Masola. Nel 1884 il lancio da sotto venne abolito in favore dell’attuale. La palla divenne più difficile da colpire e il numero dei foul incrementò. Nel 1901 nella National League venne adottata la regola dello strike legata al foul ball; l’American League la seguì nel 1903. Fino a quel momento, i battitori, non essendo chiamati strike le prime due battute in foul, continuavano a cercare di toccare la palla all’infinito per lucrare una base su ball. Una battuta in foul può provocare danni fisici agli spettatori. La Corte Suprema del Michigan però, nel 1908, stabilì che chi si guardava la partita, in un’area non protetta, lo faceva a proprio rischio e pericolo. Agli inizi del Novecento, spitball e screwball divennero di moda; il risultato era un maggior numero di giocate in diamante, ma anche un incremento delle battute in foul. Nel 1913 ‒ l’anno seguente l’adozione di un nuovo tipo di pallina con all’interno uno strato di sughero per renderla più stabile ‒ a seguito di una controversia che aveva coinvolto il Kansas City Baseball, furono codificati i casi di negligenza da parte dello spettatore e di dare la possibilità, a chi lo avesse richiesto, di vedere la partita da un punto protetto. Una regola che vale ancora oggi: chi va allo stadio in America trova chiaramente scritto che la società di casa non si assume i rischi derivanti da battute in foul e/o altre attrezzature che possono finire in tribuna, come le mazze spezzate. La cosa che però ci si aspetta, soprattutto quando in campo brillano le stelle, è quella di potersi impossessare di una palla finita fuori dalle protezioni, in campo buono o meno non importa: quanti casi abbiamo visto di palle rubate all’esterno con i mille replay relativi? Portarsi a casa la palla, dopo averla orgogliosamente mostrata in giro, è particolarmente appagante: “C’ero anch’io!”. Non è proprio stato sempre così: nei primi regolamenti si concedevano fino a cinque minuti per recuperare una palla finita fuori.

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Mi vendo!

di Giuliano Masola. Penso che atanti verrà in mente la bella canzone di Renato Zero lanciata nel 1977 (già ilfatto che sia stata lanciata la fa apprezzare un po’ di più). Il testo ponemolti interrogativi cui non è facile rispondere, per cui è bene restare fra lenostre quattro basi. Com’è noto, l’abilità principale di un venditore è quelladi vendere se stesso. Nel 1920, Charles Franklin Welck, dopo una breveapparizione nei Detroit Tigers nel 1917, a soli 25 anni era uno dei proprietaridei Rocky Mountain Tar Heels (trasponendo liberamente, i Lustrascarpe delleMontagne Rocciose). Non solo, poiché nello stesso anno, con una media battutadi .369, con 12 tripli e 42 punti battuti a casa a metà campionato, era ilmiglior giocatore della squadra, nella Virginia League. Saputo che iPhiladelphia Athletics, ultimi in classifica nella American League, erano allaricerca di giovani talenti, scrisse una lettera dattilografata a Connie Mack,proprietario degli Athletics, esaltando le abilità di un esterno che si chiamava,manco a farlo apposta, Frank Walker. Mack, bene impressionato dalle referenze,staccò un assegno di 5000 dollari per acquisire il contratto di Walker, che,prima di lasciare la sua città, pensò bene di depositare in banca. Nelle 24partite giocate con la squadra di Philadelphia in quell’anno, la sua media battutafu di solo .231, scendendo a .227 nelle 19 partite giocate nel 1921. Inrelazione a ciò, tornò alla sua squadra d’origine come giocatore e in parteproprietario; successivamente ne divenne il manager. Nel 1924, Walker fu ancorauna volta il miglior battitore della Virginia League con una media battuta di.370 e 50 basi rubate. Questa volta ebbe una offerta dagli Yamkees di 11 miladollari, ma fini per accordarsi coi New York Giants per 15 mila. La suacarriera si concluse nel 1925 con un media di .222 in 39 partite. Ancora unavolta dovette abbandonare le MMLL per andare nei Greenville Spinners (SouthCarolina), nella Athlantic League, dove restò per quattro anni. Fu il classicobattitore da Leghe Minori: nel 1929, due anni prima di ritirarsi, la sua media fudi .372. Una volta smessa la divisa, restò nel mondo del baseball. Nel 1962,per esempio, prese le redini dei Rocky Mount Leafs, una squadra di uncampionato minore della Carolina, assieme a Walter F. “Buck” Leonard, che erastata una stella delle Negro Leagues, associandosi prima ai Washington Senatorse poi ai Detroit Tigers. La storia di Frank Walker, scomparso nel 1974, puòessere per certi aspetti esemplare. Era un bravo battitore, ma non tanto da farfronte ai lanciatori di Major League: il classico “minor leaguer” Dal punto divista agonistico, tanti sono i casi come il suo, poiché il salto fra le LegheMinori e quelle Maggiori, o comunque le si chiami, non è banale. Per certiaspetti, Alex Liddi, il primo italiano a giocare e a realizzare un fuoricampoin Major League, vestendo la casacca dei Seattle Mariners nel 2011, potrebberappresentarne un parallelo. La media battuta di Alex, che poco prima didebuttare nelle Majors aveva raggiunto .345, però non è mai stata elevata: .208in 61 partite. Di conseguenza è stato mandato in campionati minori, prima di diventare“free agent” e approdare alle leghe messicane, dove ha saputo farsi valere,vincendo due campionati nazionali, oltre a quello Caraibico, ancora piùimportante.

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Un diamante chiamato Bennu

 

di Giuliano Masola. Che nome strano!, direte, forse francese (“bien nu”: completamente nudo, spoglio); niente di tutto questo. Per trovare una soluzione, dovremo fare un lungo percorso, un lungo viaggio fra le stelle. La sonda spaziale OSIRIS-Rex della NASA in questi giorni ha raggiunto il suo obiettivo, un asteroide a circa due miliardi di chilometri e, a fine anno, ne farà una prima perlustrazione, avvicinandosi fino a 19 chilometri dalla superficie. Dopo una serie di avvicinamenti successivi, estrarrà dal sua terreno roccioso sessanta grammi di materiale che, nel 2023, saranno fatti cadere nel deserto dell’Arizona, prima dell’invio a Houston, nel Texas per le analisi scientifiche. Data la composizione dell’asteroide, si ritiene di poter ricavare utili informazioni da quanto potrà essere recuperato, con l’obiettivo, nel futuro, di usare corpi celesti di questo tipo come miniere. Per quanto nudo e spogio, sotto la sua superficie ci possono essere importanti risorse. Si tratta di una grande sfida. Leggi tutto “Un diamante chiamato Bennu”

Regole: bizzarrie in evoluzione

 

di Giuliano Masola. In questi mesi, in cui per lo più si sta alla finestra aspettando la Primavera, ci si aggrappa un po’ a tutto. Così si sfogliano vecchi libri e carte e si è presi dal tentativo, per me sempre fonte di problemi, di rimettere un po’ le cose in ordine. La mente così vaga e divaga, senza un obiettivo preciso. Il baseball è il risultato di tanti giochi per questo le regole hanno seguito un percorso evolutivo none sempre lineare. Il Massacchussets Game, gioco particolarmente diffuso nel New England, a metà Ottocento, si svolgeva fra quattro basi, a circa 18 metri l’una dall’altra, ma il box battuta per lo “striker” era a posto a metà fra la prime e casa base. Il lanciatore (“thrower”) spediva la palla da sotto, da una distanza di circa nove metri. Vinceva chi faceva 21 punti. La prima sostanziale svolta si ebbe con le New York Game Knickerbrokers Rules, destinate a essere vincenti, formalizzate negli stessi anni. Il campo assumeva i connotati attuali, con le basi distanziate a circa 27 metri; zona di battuta e casabase venivano a coincidere. Il lanciatore spediva la palla sempre da sotto, da una distanza di circa 14 metri, posizionandosi, a suo piacimento, lungo una linea di tre metri mezzo. In questa sede non possiamo esaminare l’evoluzione di ogni singola regola, per cui restiamo su quelle  che oggi possono apparire bizzarre. Dal 1867 al 1887, era il battitore a dire al lanciatore dove indirizzare la palla, alta (fra la cintura e le spalle) o bassa (fra le cintura e le ginocchia): immaginate Mike Trout che dice David Price esattamente dove lanciare.

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