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Baseball… no brawl!

di Giuliano Masola. Faccio fatica a scrivere, tanta è l’amarezza, ma mi sento obbligato a farlo. Stamattina sono tornato nelle scuole elementari, nel poco lasso di tempo che viene concesso dall’onninvadente Giocampus e non solo. Proprio all’inizio, l’insegnante chiede: “Sapete cosa ha fatto l’Italia?” Praticamente nessuno lo sapeva, solo qualche parlottio. Ha proseguito. “Ha perso… 3-4 con la Spagna, ma sapete cosa è successo? C’è stata una rissa in campo”. Un ragazzo dice: “Hanno fatto a botte? – “No, solo parolacce”. Sono rimasto annichilito; da quel momento la mia mente non ha pensato ad altro. Siamo abituati al “brawl”, in particolare delle Majors”, ma fortunatamente ciò sfocia raramente in veri corpo a corpo. Ho visto almeno in parte quanto successo, mentre attendevo il rientro degli arbitri, ma poi c’è stata l’occasione di vedere i vari replay con immagini sconvolgenti. Ma cosa significa “brawl”, mi sono chiesto. Ancora una volta è una di quelle parole che si trovano, in forme non troppo diverse, in varie lingue. Dal grido all’urlo… al raglio dell’asino.

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Quattro ball!

di Giuliano Masola. Quante volte abbiamo visto concedere una base su ball intenzionale in momenti particolarmente critici? tante. E quante volte hanno prodotto l’esito sperato: molto meno. Il concetto di ball e strike stanno all’origine del batti&corri. Il numero dei ball per poter andare in base gratis si ridusse da 9 a 4 fra il 1880 e il 1889; in quegli anni il gioco si stava rapidamente evolvendo ed espandendo per cui occorreva in qualche modo velocizzarlo, soprattutto costringere il battitore a sventolare la mazza. Da non molto tempo, è sufficiente che il manager attui il “four finger salute” (quattro dita alzate) per indicare la concessione della base intenzionale al battitore, senza che il lanciatore effettui alcun lancio.  In qualche caso la si è concessa anche a basi piene: si regala un punto, ma si evita di lanciare contro un battitore ritenuto molto pericoloso. Il numero dei “free pass” è, nelle Grandi Leghe, legato alla presenza o meno del lanciatore in battuta: quando c’è il battitore designato, ovviamente i rischi sono maggiori per chi è in difesa.

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SLOW PITCH, IL REGNO DELLA BATTUTA

di Giuliano Masola. Gli amanti della storia del batti&corri sapranno certamente che il softball nacque in una Giornata del Ringraziamento, nel novembre del 1887 a Chicago, fra vento e pioggia, ma un ripasso fa sempre bene. Al Ferragut Boat Club, quel giorno, c’erano tanti giovani di Harvard e Yale in attesa di conoscere all’incontro di football americano. Quando si seppe che della vittoria di Yale per 17 a 8, i tifosi di Yale presero un vecchio guanto da pugile e lo lanciarono verso quelli di Harvard. Questi, immediatamente, glielo rispedirono indietro colpendolo con un pezzo di legno. Ciò diede l’idea a John Hancok, giornalista della Camera di Commercio di Chicago, di realizzare una sorta di baseball al coperto. La prima cosa che fece fu quella di avvolgere un guanto da boxe con i suoi lacci, trasformandolo in una “pallona” soffice.

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Carlos Guzman

Per aiutare la famiglia di Carlos Guzman, che al momento versa in una difficile condizione economica, potete inviare offerte in denaro, tramite Western Union, a questo nominativo, che è quello di una parente di Gabriella Guzman, figlia di Carlos: 
Dora Laura Mayorga Flores de Estrada Cuidad de Guatemala.

Una volta effettuato il versamento, dovete inviare il numero del pagamento, corredato dal vostro nome, attraverso un messaggio sulla chat Messenger del profilo Facebook di Carlos Guzman. Il profilo è gestito da Gabriella Guzman. Se non siete amici su Facebook comunicate i vostri dati a Sal Varriale e Vic Luciani, che sono in contatto giornaliero con la figlia di Carlos Guzman.

Febbre da West

di Giuliano Masola. Molti hanno presente quella “febbre dell’oro” che nella seconda metà dell’Ottocento spinse centinaia di migliaia di persone verso la costa orientale degli Stati Uniti, dalla California all’Alaska, seguendo il consiglio di Horace Greeley, editore di New York, a Josiah B. Grinnell, “Vai all’ovest, giovanotto, e cresci con il Paese” (Grinnell avrebbe poi fondato l’omonima città nell’Iowa). Negli Stati Uniti spostarsi da un punto all’altro è una cosa normale: nel 1946 lo ha fatto un quinto degli abitanti. Meno conosciuto è il lungo viaggio della “febbre del baseball”, che iniziò alla fine degli anni Quaranta dell’’800. Fu però la Guerra di Secessione ad esserne il vero catalizzatore e propulsore, poiché nei campi militari, fra una battaglia e l’altra si giocava a baseball; i prigionieri, per esempio,  formarono una squadra vera e propria in un campo di concentramento del Mississippi.

George Putnam, soldato nordista, raccontò che ad Alexandria (Louisiana), durante una partita,  un attacco nemico costituì un serio pericolo per gli esterni; l’esterno sinistro e quello destro rientrarono nel dugout, ma i Sudisti spararono e catturarono l’esterno centro, prima che i Nordisti potessero contrattaccare. L’espansione del gioco fu rapida; come ricorda George Kirsch nel suo libro Baseball in Blue and Gray, “un gruppo di ‘Rocky Mountain Boys’ giocò al ‘New York game’ a Denver”. La prima notizia di una partita è del maggio 1866, quando il Pioneer Baseball Club di East Portland (Oregon) sconfisse per 77 a 46 il Clackamas Club. Nello stesso anno gli Oakland Live Oaks disputarono il loro primo incontro a San Francisco nell’ambito della Pacific Base Ball Convention, mentre il 21 aprile dell’anno successivo fu disputato un incontro per ricordare la vittoria di Sam Houston contro Antonio López de Santa Anna,  che nel 1836 che portò all’indipendenza del Texas.  Nel 1867 a Leavenworth (Kansas) sorse il Frontier Baseball Club. Nel West tutto poteva accadere. Il 17 maggio 1868, il Capitano Albert Barnitz scrisse alla moglie da Fort Hays, nel Kansas Occidentale: “Non ci sono ancora chiese, poiché non c’è nessuno che ci va; invece tutti gli ufficiali, compresa una mezza dozzina in visita da Fort Dodge, hanno partecipato a una partita di base ball!”. Si dice pure che a un certo punto della sua carriera l’avvocato e giocatore d’azzardo Wild Bill Hickok seguisse i Kansas City Antelopes; leggenda vuole che una volta ne arbitrò una partita munito con un paio di pistole ai fianchi. Il 31 luglio del 1874, durante la tragica spedizione di George Custer nelle Black Hills contro i Sioux, i Fort Lincoln Actives sconfissero i Fort Rice Athletes, 11–6, a Custer, nel Sud Dakota. Secondo lo storico Brian Dippie, “Gli uomini giocavano a baseball nelle lunghe giornate estive. Per la prima volta lo si giocava nelle Black Hills e si discuteva pure sull’imparzialità dell’arbitro”. La maggior parte del baseball nel West del XIX secolo era amatoriale o semiprofessionistico, compresa la squadra girovaga dei Nebraska Indians. Per formarla, il fondatore Guy W. Green reclutò alcuni giocatori dalle riserve delle tribù Omaha e Winnebago: nel 1897, nove dei dodici componenti erano nativi americani. Fino al 1914 i Nebraska Indians ‒ una squadra di tutto rispetto: 1,237 vittorie, 336 sconfitte e 11 pareggi ‒ giocarono un po’dappertutto, portando con sé l’atmosfera del Selvaggio West. Nelle ultime decadi dell’Ottocento, furono formate squadre in molti fortini e città, anche nel Territorio del Nuovo Messico. A Fort Sill nel Territorio Indiano (ora Oklahoma), dove il baseball aveva fatto al sua comparsa agli inizi del 1870, i nativi giocavano talvolta insieme ai soldati. Geronimo, il grande capo degli Apache che vi era internato, caracollando a cavallo, mentre assisteva alle partite. Secondo la storica americana Angie Debo, una volta, appena un giocatore ebbe realizzato un fuoricampo, entrato a cavallo in diamante sfidò il battitore-corridore nella corsa sulle basi. Il baseball si espanse anche al Minnesota. Alla fine di agosto del 1876, a St. Paul, la banda James-Younger, secondo Homer Croy, “uscì allo  scoperto per vedere una partita fra i St. Paul Red Caps e i Winona Clippers. Il 7 settembre, il tentativo di svaligiare la banca di Northfield fu disastroso per la banda: i tre fratelli Younger finirono nel penitenziario di Stillwater. Nel 1882, lo stesso anno della famosa sfida all’OK Corral, quella in cui Wyatt Earp cercò la sua vendetta, George S. Rice, ingegnere del Massacchusets che aveva la fissazione del baseball, fondò i San Pedro Boys e creò la Tombstone Base Ball Association. Nonostante una difficile partenza, la lega fu attiva per molto tempo. Una caratteristica importante delle leghe dei nuovi territori era l’assenza della barriera del colore, che invece si stava realizzando a livelli più elevati, e ciò fa molto riflettere: bisognerà aspettare il 15 aprile del 1947 per abbatterla. Il West resta per tanti qualcosa di fantastico, legato soprattutto a quel periodo che sta fra l’infanzia e l’adolescenza, coi suoi miti e i suoi eroi, i suoi paesaggi, le sue canzoni. Territori vasti, che i visi pallidi hanno conquistato in modo spesso violento. Sui carri dei pionieri qualche mazza artigianale si trovava sempre e bastavano delle pietre per indicare le basi. Il baseball aiutava a rendere meno pesanti le difficoltà e, in qualche caso, rendere meno difficile la convivenza coi nativi, progressivamente rinchiusi nelle riserve. Eppure, nessuno può fare da solo e c’è sempre qualcosa da imparare dagli altri. Come ha detto il “Capo” Louis Sockalexis, “Può darsi che un giorno diventi un grande giocatore, ma non ora. Mi impegno molto a imparare e osservare ogni giocatore, poiché da ognuno di loro posso trarre benefici insegnamenti”.

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