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La quadratura del cerchio

di Giuliano Masola. Ci sono problemi che restano insoluti, come la quadratura del cerchio, la trisezione dell’angolo e la duplicazione del cubo risolti con riga e compasso. Ogni giorno, più o meno consapevoli, li abbiamo davanti e tentiamo di risolverli. Marc Rayman, direttore della missione Dawn della NASA (navicella spaziale per esplorare Cerere e Vesta), ritiene che la migliore approssimazione di pi greco sia rappresentata dal numero 3 seguito da “sole” quindici cifre dopo la virgola. Diciamo la verità, noi del baseball questo lo abbiamo sempre saputo. Chi sta sui diamanti sa molto bene come districarsi fra cerchi e quadrati: i quattro angoli rappresentati dalle basi sono all’interno di un settore circolare, un quarto di cerchio. Di conseguenza, ciò che da millenni è un cruccio per le menti migliori, per noi rappresenta quasi una banalità. In effetti, ogni azione si svolge attraverso movimenti rettilinei e circolari continuamente. I più raffinati sosterranno che non è esattamente così, ma, come detto, si tratta di giungere alla migliore approssimazione. Che dire di più; forse qualcosa, considerando il fatto che ogni azione ha un preciso obiettivo e che solo attraverso il raggiungimento coordinato dei singoli obiettivi si può raggiungere il successo: il “goal” come direbbero gli esperti di risorse umane. Perché proprio questo è il punto: abbiamo a che fare con le persone, cioè con ogni singolo individuo, che fatica far combaciare i propri interessi con quelli più generali. La scelta teoricamente è semplice: modello caserma o convincimento. In una visione ottimistica, si propenderebbe per il secondo modo; peccato che la realtà sia tale da rendere questo tipo di approccio poco praticabile, anche perché richiede tempi lunghi e una grande preparazione da parte di chi intende adottarlo. D’altro canto, da molti anni non c’è più il servizio militare obbligatorio, per cui anche il modello caserma ha delle controindicazioni. C’è un terzo e antico metodo, quello del bastone e della carota, che è quello utilizzato più comunemente. Organizzare e dirigere una squadra, di conseguenza, pone diversi interrogativi, soprattutto comporta impegno e dedizione. Autorità e autorevolezza non sono sinonimi, e non è facile che la stessa persona possieda contemporaneamente tali caratteristiche. Spesso si parla di una curva di sviluppo ‒ nel fare le curve, nel senso di evitare di affrontare problemi reali, siamo da sempre maestri ‒ in cui a una fase di crescita corrisponde una di decrescita. Come diceva un famoso manager, il problema non tanto avere i migliori giocatori quanto metterli insieme. La vera capacità, penso, sta nel fare in modo che la debolezza di alcuni sia compensata, o ancor meglio superata dalla abilità e dall’esempio degli altri. Ciò che importa, alla fine, è l’ottenimento del miglior risultato possibile, per cui la caccia la pi greco resta sempre aperta. Anche nel migliore dei casi, il successo non è mai completo, poiché, raggiunto un traguardo, occorre fissarne un altro, alzare l’asticella: la tensione al risultato resta una costante. In ogni caso, ci sono temi di fondo che non vanno sottovalutati, né dimenticati. Spesso si parla di approccio laico, di laicità; un arbitro, ad esempio dovere avere l’approccio più laico di tutti. Siamo uomini però, nati dalla terra, e con la stessa terra in continuo cambiamento ed evoluzione. Leggi tutto “La quadratura del cerchio”

Stare alla finestra?

di Giuliano Masola. Oggi mi sento molto Charlie Brown: guardo i numerosi fiocchi di neve che fanno apparire lontana la Primavera. Osservo gli accumuli che si vanno formando e un merlo che vi zampetta sopra come se volesse lanciare a un curioso pettirosso che tiene un pezzetto di legno nel becco. Mi accontento di poco, pur di rompere la malinconia in agguato. In fondo alla strada, ragazzi fanno a pallottate: automaticamente lo sguardo si volge al loro movimento di tiro, che mi pare ben eseguito. E ciò mi ha fatto pensare, o meglio ripensare a tante esperienze. Da tanto tempo non faccio più l’allenatore in campo, ma cerco di fare qualcosa, nel massimo della semplicità, con ragazze e ragazzi delle scuole, soprattutto delle elementari. Non sono certamente l’unico, anche perché penso che quasi tutte le Società, nella ricerca di nuovi giocatori facciano lo stesso: azione meritoria e indispensabile, anche se i risultati non sono proporzionali allo sforzo prodotto. I motivi, per quanto posso capire, sono tanti e pochi al tempo stesso. In generale, il minor numero di nascite finisce per penalizzare soprattutto le attività meno remunerative, dal punto di vista dei genitori (chi non ha un “Maradona” in casa?). Oltre a ciò, c’è la moda: lo sport di moda. Ci sono degli automatismi, che si rivelano a seguito di qualche grande prestazione, in particolare olimpica: da un giorno all’altro, siamo tutti schermidori, pattinatori, nuotatori, sciatori, eccetera. Un altro tema è quello della sicurezza, che si traduce nell’apprendimento di arti marziali, e così via. Nella scuola, in particolare, diventano dominanti, per tanti e ovvi motivi, pallavolo, pallamano e basket, per non parlare di nuoto, tennis e altro. A tutto ciò aggiungiamo il rugby, anche per la lunga e gloriosa tradizione cittadina, e il football americano. Leggi tutto “Stare alla finestra?”

Sorry

di Giuliano Masola . C’è sempre una partita da giocare, al di là di chi ha vinto o perso. In un mondo travolto dalla fretta, e dal tutto e subito, questa possibilità pare non sussistere più. La storia è fatta di tempi lunghi per cui i risultati di ogni azione si possono solo misurare nel tempo. Chi ha mai vinto definitivamente? E chi ha perso, non ha trovato la possibilità di recuperare? Urla, schiamazzi e grida “are blowing in the wind”, se li porta il vento, assieme a tanti tromboni fai da te. La storia è fatta di eroi, eroi del quotidiano, del lento avanzare. Forse, è bene ricordare, che la velocità massima cui può andare una squadra navale è quello della nave-appoggio. Penso che molti abbiamo visto “Salvate il soldato Ryan”: nessuno deve essere lasciato solo, nessuna famiglia deve essere abbandonata. Per gli antichi Greci, in particolare, la restituzione e il recupero dei cadaveri dopo una battaglia era fondamentale: chi non vi si atteneva peccava di empietà, e ciò significava la morte o l’esilio. Forse vi chiederete cosa a che fare questo col baseball. Si tratta semplicemente di una questione morale. Gli antichi, pur massacrandosi in interminabili rivalità, avevano il concetto dell’onore, del rispetto; soprattutto riconoscevano il valore civile, anche se può apparire un controsenso, di chi combatteva a viso aperto. Ora si giocano strane partite, in particolare fuori dal diamante: c’è chi sta nel proprio cortile, senza voler incontrare faccia a faccia gli avversari. Paiono lunghe e solitarie sessioni di batting practice, che possono migliorarla meccanica, ma che valgono poco se non si incontra mai un vero lanciatore. L’attesa è spesso snervante, poiché non siamo attrezzati ad affrontarle con la testa. Non siamo capaci, in pratica, di utilizzare il tempo in tutte le sue varianti, le sue fasi. Quando si seguono le partite teletrasmesse, ci si accorge rapidamente se i cronisti e i commentatori sono abili o meno. Lo si può misurare dai “vuoti”, oltre che dalle carenze sulla conoscenza del gioco che stanno commentando. Spesso ciò accade per una forma di pressapochismo e, diciamolo pure, di superbia. Tutto questo ci porta a una conclusione facile, scontata: tanto una cosa vale l’altra. Personalmente non sono d’accordo, né in fatto di baseball, né su altri fronti. Quando ci confrontiamo, ci affrontiamo se volete, dobbiamo partire da un presupposto: sappiamo cosa stiamo per fare? Quali sono le domande a cui sappiamo o non sappiamo rispondere? Quante volte ci avranno detto che “non capisco il baseball perché ha troppe regole, è troppo difficile”; quale è stata la nostra reazione? Siamo partiti dalle origini, o abbiamo parlato del “gerlo” e dei “quattro cantoni”? Ciò che rattrista, in particolare in questi giorni, è la mancanza di un confronto sereno, basato sulla concretezza. Quando si tratto di decidere quale sarebbe stata la città egemone fra Roma e Albalonga, ventisette secoli fa, ci si accordò per mettere in campo tre fratelli da una parte e altrettanti dall’altra, anziché far combattere gli interi eserciti. Come sappiamo, l’ultimo degli Orazi – uno contro tre – finì per prevalere, e i perdenti accettarono il risultato. Oggi questa soluzione, in particolare l’accettazione del risultato, è improponibile: tutti vincono tutto. Il negare l’evidenza, la realtà storica, come qualcuno vuole e tenta di fare, è sintomatico. Si ricorda solo ciò che fa comodo e si sbandierano slogan cupi e tetri. è una questione seria, poiché questa situazione trova nel campo “sportivo” un ottima cassa di risonanza. Leggi tutto “Sorry”

Pre-Play ball!

Di Giuliano Masola. Riprendendo, in senso opposto, una nota canzone di Guccini ‒ Per fare un uomo è  stata una specie di tormentone per almeno un paio di generazioni ‒ potremmo dire che “l’inverno è finito e l’estate e alle porte”, anche se c’è la neve e si prospetta un settimana piena di gelo. Per amore o per magia succede così: ci sono dei bambini in una palestra, c’è n torneo che (grazie al Cielo!) in cui regna la semplicità e la mancanza di burocrazia,  dove trovi quelli che non ce la fanno a smettere. “Eh, quest’anno ho i più piccolini e c’è un sacco di lavoro da fare..”, dice un allenatore. “Ce li ho anch’io e ce ne sono due o tre che promettono…”, dice un altro. “E quando ricominciamo con le scuole?”. Ci si ritrova tutti immersi in un vocìo che pare superare ogni soglia acustica. Beh, come si fa a lasciare dei ragazzi da soli, a non dare loro l’importanza che meritano. Sono lì per imparare e, con tutti i limiti, il nostro impegno è quello di insegnare. I ragazzi “più vecchi” si conoscono, frequentano talvolta le stesse scuole e giocano insieme, non solo a baseball. C’è la voglia di ricominciare, di scuotersi dal torpore dell’inverno, di una preparazione spesso tanto noiosa, quanto necessaria. Leggi tutto “Pre-Play ball!”

Anthony

Di Giuliano Masola. Le cattive notizie finiscono per colpirci non più di tanto, quasi ci lasciano indifferenti. Purtroppo, però, l’ennesimo caso di uccisione di massa accaduto nei giorni scorsi negli Stati Uniti, lascia interdetti. Diciassette persone morte, fra studenti, professori e allenatori, più altri in gravi condizioni. Il dramma è avvenuto nella Marjory Stoneman Douglas High School, a Parkland, in Florida. Parkland è la città di Anthony Rizzo, prima base dei Chicago Cubs, che ha anche vestito la maglia della nostra nazionale nel World Baseball Classic del 2013, grazie ai genitori originari di Cimminna, una cittadina in provincia di Palermo. Saputo dell’accaduto, Anthony è  subito tornato nella sua città con la famiglia, e lì ha tenuto una veglia funebre. Credo possa essere importante riprendere alcuni passi di ciò che ha detto a chi gli stava intorno al suo arrivo. “Sono cresciuto alla Stoneman Douglas. Ho giocato in quei campi, Sono stato in quelle aule e mercoledì li ho rivisti per motivi sbagliati”. Impressionato e commosso dal modo in cui i compagni di scuola partecipavano al dolore delle famiglie colpite, ha proseguito: “Sono un giocatore di baseball, uno cittadino della Florida e di Parkland da una vita. Pur non avendo tutte le risposte, credo che qualcosa debba cambiare, prima che ciò accada a un’altra comunità e a un’altra comunità e a un’altra comunità. Come uomo, come persona di senno, ha avuto parole decise, chiedendo di porre fine alla violenza. Oltre a ciò, ha inteso ribadire un concetto, che da noi pare dimenticato: la comunanza. “Sono ciò che sono poiché vengo da questa comunità, Voglio che sappiate che voi non siete soli nel vostro dolore. Soffriamo tutti con voi. La comunità intera soffre con voi. Tutto ciò che può servire lo farò; sarò con voi. Darò tutto il mio aiuto a studenti, insegnanti, allenatori, famiglie e a chi dà loro soccorso”. Anthony Rizzo ha pregato e pianto con loro e per loro. Leggi tutto “Anthony”