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L’arca di Noè

di Giuliano Masola. Vorrei questa volta parlarvi di cose belle, di impressioni positive, di ciò che non fa notizia. Come molti di voi sanno, in me resta il sogno di riportare il baseball nel quartiere Montanara, una vasta zona della città che è cambiata tantissimo dall’inizio degli anni ’60 ad oggi.

Mi rendo sempre più conto che la nostalgia e la memoria del bel tempo antico limitano l’iniziativa, la voglia di rimettersi in gioco, ancor meglio di mettere in gioco coraggio e lungimiranza. Detto da me ‒ uno di quelli che ci vede “vò e sufla” ‒ può essere un affronto al buon senso, ma a me è sempre piaciuto giocare, sfidando soprattutto il più difficile degli avversari. In questi giorni sto cercando di fare qualcosa che abbia una vaga somiglianza col batti&corri, proprio nel quartiere dove sono arrivato nel settembre del 1964, quando la pallina volava fra i cortili delle case popolari e qualcuno ci rimetteva i denti. Ora nel quartiere, c’è in attività un centro estivo; i partecipanti hanno una età compresa fra i quattro e gli undici anni (immaginate quante deroghe servirebbero per fare una squadretta). Ciò comporta difficoltà, ma c’è un comun denominatore che viene incontro a tutto ciò: il baseball è sostanzialmente sconosciuto e non solo perché ci sono bambini della più varia provenienza. Come direbbero ai corsi aziendali, “abbiamo una grande opportunità: partiamo dal prato verde”. In effetti, nel campetto parrocchiale un po’ di verde c’è, anzi ce n’era fin troppo; per fortuna un amico è riuscito a provvedere. Così un paio di gruppetti (un’ora a testa), ascoltano qualche insegnamento basilare e poi tentano di metterlo in pratica. Devo ammettere che sono bravi e disponibili ad apprendere; forse sono più attenti che a scuola. Il più piccolo ha un nome biblico che richiama il concetto di quiete, riposo, conforto, anche se ho qualche dubbio che il costruttore dell’arca avesse queste caratteristiche: la Fede è una gran cosa, ma non si sa mai. Ha quattro anni e vive, quasi con a forma di simbiosi, con “Mostrone” un pupazzetto dalle forme strane che tiene sempre stretto sotto l’ascella e che mi affida solo quando deve andare in battuta. Ha l’aria pensosa ed è di poche parole; ricorda un po’ Schroeder, l’amico di Charlie Brown; magari diventerà un filosofo. Mi sono accorto molto in fretta però, che è molto attento a tutto e mette in pratica ciò che gli viene detto. Come lui ci sono altre bimbe, che hanno un anno o due più di lui, molto volenterose e attente. Devo dire che sono tutti bravi e che se potessi li farei giocare davvero. Il primo impatto non è mai facile, soprattutto se alla domanda “Sapete cosa è il baseball, L’avete mai visto?” si vedono volti che a loro volta ti interrogano; solo una ragazzina ha un fratello che gioca. Eppure accadono cose che ti colpiscono. Un ragazzo di forse nove anni che di baseball non aveva la più vaga idea, la seconda volta che ci siamo visti mi fa: “Ho capito che se allungo le braccia batto più forte”. Sapete che una delle mie manie è quella di fare battere da destro e da mancino (penso sempre agli Yankees che riuscivano a schierare fino a sei mancini in battuta, considerando gli switch-hitters e vincevano più di adesso…), per cui tutti devono imparare a battere da entrambe le parti del box (ho scoperto che alcuni sono ambidestri. Certo c’è una iniziale confusione nel posizionare le mani sulla mazza per battere da destro e da macino, ma il tutto si supera rapidamente. Devo dire che c’è un grande rispetto da parte loro, maggiore di quanto non avessi sperimentato a scuola: si rivolgono a me con “signore”… Certo ci sono i responsabili del centro estivo che aiutano nel mantenere quel minimo di disciplina che occorre, anche per l’attenzione da porre questi tempi. Così, ridendo e scherzando, si cerca di far apprezzare il gioco; ragazzine e ragazzini cominciano a “sbottonarsi” un po’ e salta fuori, come spesso accade, che pur non sapendo nulla o quasi del baseball, diversi di loro hanno a casa una mazza o una palla. Ciò mi pare evidenzi quanto sia grande il bacino cui potrebbe attingere il nostro gioco, almeno a Parma; c’è una vasta area di persone che hanno incrociato il batti&corri in qualche modo: ci hanno giocato, hanno avuto amici che lo facevano, lo hanno visto e apprezzato magari tanti anni fa. Mentre nel mondo anglosassone gli “alumni” costituiscono una gruppo che viene organizzato, costantemente seguito e alimentato, da noi è un’eccezione. Certo non è facile mantenere rapporti costanti, poiché occorre un continuo lavoro di collegamento, ma oggi la tecnologia ci aiuta molto in questo senso. Tutte le volte che si cerca di organizzare qualcosa ci si scontra con la difficoltà di avere chi ti aiuta, per cui tante possibilità sfumano. Credo che occorra andare oltre il discorso interno, quello delle società che hanno filosofie e programmi diversi, anche se il fine ultimo è lo stesso: trovare giocatori, farli crescere e ottenere qualche buon risultato. Quanti ragazzi abbiamo scartato, senza magari pensare a loro come dei futuri aiutanti, collaboratori da far crescere? È per questo che, a mio parere, occorre utilizzare ogni nuova occasione per mostrare che baseball e softball ci sono e ci saranno. Come qualcuno ha scritto sul muro di un campo da baseball in Venezuela, “È necessario saperne di baseball, ma è più importante conoscere bambini”.

 

Giuliano Masola, “Montanara”, 9 luglio 2021.