Vuoto il campo da baseball
‒ Un pettirosso
saltella lungo la panchina.
di giuliano Masola. “On the road” (“Sulla strada”), il celebre romanzo autobiografico dello scrittore franco-canadese Jack Kerouac padre della “beat generation” pubblicato nel 1951, ha rappresentato una sorta di guida per più generazioni, disposte a mettersi in gioco per trovare nuovi spazi di libertà. Kerouac ha scritto anche degli “haicu”, forme poetiche giapponesi che tentano di cogliere in pochi versi una sensazione, una visione, un momento magico, una sorta di colpo di fulmine; quello citato ci riguarda e vale la pena di provare a coglierne il suo profondo significato. Il campo da baseball è vuoto e possiamo immaginare che il silenzio la farebbe da padrone, se qualche refolo di vento non facesse vibrare le reti ‒ corde di una novella arpa birmana che ci richiama al ricordo degli scomparsi e alla repulsione della guerra.
E c’è un pettirosso, il “redbird”, che si collega al cardinale appollaiato su una mazza, simbolo di St. Louis. E sulla panchina deserta il pettirosso saltella. Probabilmente non lo si insegna più, ma fino a non molti anni fa si faceva eseguire ai ricevitori il “crow hop”, il salto del corvo/passero, per tirare sulle basi. I pettirossi li vediamo d’inverno, il periodo in cui Charlie Brown sta alla finestra guardando la neve che si accumula sulla sua montagnola e rende tutto indistinto. Pensa alla ragazza dei capelli rossi, mentre Snoopy se ne sta sempre sul tetto della sua casetta a sfidare, sciarpa al vento, il Barone Rosso e Schroeder è più che mai aggrappato al pianoforte per strimpellare Beethoven. Immagini che potrebbero intristirci un po’ in queste lunghe e belle giornate. Ma come fare per cambiare questa visione, a ritrovare la forza e il coraggio per convincerci a tornare in campo e soprattutto fare in modo che lo consentano le famiglie delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi? Credo che il tutto potrà risolversi, oltre che coi mezzi della scienza, con buon senso e molta sana pratica. In questi giorni circolano notizie di tutti i generi e, come allo stadio, tutti sono bravi a fare gli allenatori, magari cercando di distruggere più che di costruire. Certamente per tornare sul diamante occorrerà osservare un certo protocollo, pur sapendo che la sicurezza assoluta non esiste (e non esistita mai, anche se non ce ne siamo accorti). Probabilmente, almeno in una prima fase l’approccio sarà diverso, proprio per le necessarie cautele, per cui potrebbe mutare anche il modo di giocare e probabilmente lo svolgimento delle partite. Si gioca all’aperto e ciò rappresenta un fatto positivo, ma tenere anche la più leggera mascherina sotto un bel sole estivo o sotto la pioggia, pensando soprattutto a lanciatori, ricevitori e arbitri, non sarà certo facile. Certo la voglia di andare in campo è tanta e non consola proprio il fatto che in tutto il mondo ormai ci si trovi nella stessa situazione. Credo che ognuno di noi debba riflettere e fare proposte, siamo tutti preoccupati a causa di una situazione incerta e rischiosa, ma alla fine dovremo riabituarci a stare insieme. La situazione economica che si prospetta non è certamente favorevole: meno soldi, più disoccupazione, meno sponsor, meno squadre, con un notevole aumento di costi (basta pensare alla più piccola trasferta). Per tutti ci saranno altri notevoli oneri legati alle norme di prevenzione e tutela sanitaria negli impianti sportivi, oltre di chi andrà in campo. Sicuramente chi ha il timone del comando sta già pensando a soluzioni ad hoc, ma è innegabile che occorra avere una visione di medio e lungo periodo. Stiamo toccando con mano quanto i confini siano più concetti amministrativi che reali. Nel nostro piccolo mondo, a mio parere, le attuali suddivisioni territoriali stanno perdendo gran parte del loro significato, per cui la flessibilità organizzativa a ogni livello diventa indispensabile. Per questo occorre pensare a un mondo del batti&corri fondato su facilità e semplicità: due obiettivi sfidanti, ma decisivi. In grande sintesi, usare il cervello, parlare di meno, e fare di più. Questa fase storica sta già facendo emergere idee e abilità fresche e inattese. Siamo stati giovani, spesso contestatori di un mondo che ci confinava in spazi troppo stretti e ora ci facciamo meraviglia di quanto sta accadendo: largo ai giovani! Ciò che i vecchietti come me possono e devono fare è consegnare la loro storia, una storia non tanto maestra, quanto base e magazzino di esperienze, ed essere pronti a stare a fianco di chi, forse senza rendersene completamente conto, sta già dando inizio una missione nuova, ardua ed entusiasmante allo stesso tempo. Spesso il nostro occhio critico, condito magari di malcelati commenti ironici, li guarda con una certa sufficienza. Hanno abilità diverse, esperienze diverse, culture diverse, ma sono il NOSTRO domani. Così, se lo vogliamo e troviamo la forza di impegnarci ancora con loro e per loro, ogni giorno diventerà Primavera, continuando a lanciare una palla che si chiama Libertà.
Mi figlio corre
verso l’albero in germoglio
la loro prima base
(Hoschino Tsunehiko)
Giuliano Masola, 6 maggio 2020.