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Batti e corri… mascherina!

di Giuliano Masola. È difficile sapere quando ci sarà il “Play Ball”, per cui dobbiamo accontentarci di qualche pensata, o se volete dell’immaginazione. Nel batti&corri la vicinanza fra i giocatori in campo è piuttosto limitata, se si eccettuano dugout e area di casabase. Teoricamente, quindi, ci sono meno possibilità di contatto, ma credo che ciò non basterà a convincere chi deve decidere se ripartire o no (e soprattutto i genitori a portare i bambini), in attesa di un vaccino che non arriverà in tempo per questo campionato.

Illudendoci un poco, proviamo pensare a come giocare con qualche accorgimento. I metodi di controllo e prevenzione potrebbero essere diversi, come fare test a tutti i tesserati e provare la temperatura prima dell’ingresso prima degli spogliatoi, impedire che i giocatori portino le mani alla bocca. A ciò si aggiunge l’uso della mascherina; è probabile che qualche azienda, magari d’Oltreoceano, inventi qualcosa in proposito, ma potremmo giocare d’anticipo. I tipi di mascherina attualmente utilizzati sono diversi, legati soprattutto alle necessità di utilizzo per cui occorrerà decidere quale tipo fare indossare. Il colore normalmente usato nella maggioranza dei casi è azzurrino, ma si potrebbe lasciare la possibilità di averla coi colori della squadra. I ricevitori e gli arbitri che indossano la maschera incorporata al casco sarebbero avvantaggiati: un bel modello Guerre stellari con tanto di filtro potrebbe essere una soluzione ‒ il tipo Ninja mi pare un po’ troppo avvolgente e potrebbe comportare qualche difficoltà per la respirazione.  Per i più raffinati, vedrei un modello derivato dal Carnevale di Venezia, con rondò musicale incorporato (in ogni caso, possiamo contare sulla creatività delle ragazze del softball). Potrebbe essere una semplice fantasticheria, ma sui siti giapponesi come quello dei Dragons, già si vedono vignette che mostrano questa possibilità. In effetti la mascherina non è una assoluta novità in campo, se pensiamo che chi soffre di certe allergie già la indossa. “Persona” nell’antichità era la maschera usata dall’attore, da chi interpretava un particolare ruolo, non solo artistico; una delle sue funzioni era l’amplificazione della voce, poiché le rappresentazioni erano per lo più all’aperto. In pratica, indossare la maschera significa recitare una parte, diventare, seppur temporaneamente, un altro: avete presente Batman? Quando ci cambiamo prima di entrare in campo, facciamo sostanzialmente la stessa cosa: indossiamo una uniforme, che ci divide dagli altri; da quel momento anche i migliori amici si trasformano in avversari. Il comportamento, i gesti, il tono di voce e il ritmo cambiano nel giro di pochi minuti; muta perfino la percezione atmosferica, anche se sembra un paradosso, perché non è il metereologo che alla fine decide se si può giocare o meno. L’impiego sanitario della mascherina comporta un ribaltamento, poiché viene coperta la parte inferiore del volto, anziché quella superiore. Oltre a ciò, l’uso del velo indossato da fedeli di alcune religioni rappresenta un vantaggio in questo periodo, tanto è vero che, in caso di emergenza, viene suggerito di utilizzare una sciarpa, uno scaldacollo o un foulard che copra fino al naso. Ciò fa comprendere quanto possa cambiare il metro di giudizio e il modo di comportarci in pochi giorni. Ancor più, questa difficilissima situazione evidenzia quanto sia indispensabile un interscambio di aiuti e di conoscenze, smascherando chi pensa di utilizzare qualsiasi mezzo a propri fini e soprattutto di approfittare di chi si trova nel bisogno (vale anche nello sport). Proprio per questo, intanto che siamo a casa o comunque impossibilitati a muoverci, dovremmo fare proprio qualche esercizio con la maschera: mettercela e togliercela e, dopo ogni movimento, fermarsi a pensare. In partita non ne abbiamo il tempo, ma da soli, fra quelle mura domestiche diventate una barriera pressoché insormontabile ‒ coi sistemi di allarme volti al contrario ‒, possiamo rivedere tanti momenti, cercare di ricordare i motivi di una particolare azione e decisione che abbiamo preso, nel bene e nel male, e trarne spunto per il futuro. Molto probabilmente, alla fine si avrà una grande rivelazione: una maggiore conoscenza di se stessi e un migliore approccio verso il prossimo. Pur continuando a indossare una maschera ‒ la persona che intendiamo mostrare agli altri, tornando alle origini ‒ lo faremo con un nuovo spirito, con un atteggiamento più aperto e accogliente, riuscendo ancor meglio a separare la competizione dalla lotta e considerare la vittoria uno stimolo all’ulteriore miglioramento. Può darsi che dentro l’uovo di Pasqua ci sia qualche mascherina a portare un minimo di sicurezza. In ogni caso, noi guardiamo avanti, pronti a indossare quelle che ci faranno tornare sorridenti in campo, magari belle e colorate. E se la Primavera sarà ormai alle nostre spalle, vorrà dire che ci impegneremo a farla ritornare, sgorgando come nuova fonte in un diamante troppo a lungo rimasto asciutto. “Non parlatemi del mondo. Non oggi. È Primavera: le battute finiscono da una parte all’altra, dove al mattino l’erba è più umida e fresca, e i ragazzi tentano di battere le curve” (Pete Hamill).

Giuliano Masola, 10 aprile 2020