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Che ti lancio? un pizzicotto

di Giuliano Masola. Christy Mathewson, nato il 12 agosto 1880 a Factoryville (Pennsylvania) e morto il 7 ottobre 1925 a Sarnac Lake (New York), è una delle icone del baseball. Grandissimo lanciatore, “Big Six” giocò dal 1900 al 1916 per i New York Giants. Era uno di quelli che non si tirava mai indietro: nel 1905, vinse tre partite senza concedere punti in sei giorni conquistando le World Series. I suoi lanci principe erano la palla veloce e il “fadeaway”, l’attuale “screwball”. Spesso si associano i giocatori dei primi anni del baseball professionistico all’ignoranza: tanti muscoli, zero cervello ‒ “Casey at the bat” ne è l’emblema. Se ben ricordate il superclassico cartoon, Casey è più che sicuro di spaccare la palla, ma al momento clou si fa prendere dalla troppa foga. Christy Mathewson era l’esatto contrario, era uno che sapeva cogliere il momento, trovare nuova forza nelle difficoltà. “Pitching in the Pinch”, edito nel 1912, è il libro in cui riporta le sue memorie, traendo spunto per riflessioni e suggerimenti. Come spesso accade il linguaggio del baseball ci coglie impreparati, come un lancio mai visto prima. Se traducessimo alla lettera il titolo del libro, avremmo “lanciare nel pizzicotto”, ma che vuol dire? Fortunatamente ci viene spiegato che non si tratta di dare un buffetto alla palla o di pizzicare le corde di una chitarra, ma di una situazione particolare in cui tutto cambia, si aprono nuove strade.

C’è chi lo chiama “breack” oppure momento di crisi, anche psicologica: un punto di svolta, insomma. Si tratta di quella circostanza in cui il lanciatore pare non riuscire più ad avere il comando della palla, il battitore perdere concentrazione, e così via. I bravi manager prestano una particolare attenzione per coglier questo momento critico per reagire di conseguenza. Un lanciatore, per uscirne, deve dare tutto ciò che ha, ma non tutti riescono a superare la crisi seppur di brevissimo periodo. Penso che in questi giorni molti siano seguendo le fasi di avvicinamento alle World Series: la successione dei lanciatori, per esempio, può lasciare perplessi, abituati alle classiche rotazioni della Regular Season: partenti come Clayton Kershaw (Dodgers) utilizzati come closer, in sostituzione di uno specialista come Jensen a soli due giorni dalla precedente partita, possono porre tante domande. Il “pinch”, però, è sempre in agguato per cui occorre essere in grado di percepirlo, e soprattutto gestire; chi lancia, prima di tutti gli altri ‒ per esempio, il caricamento perde inaspettatamente di fluidità e finisce per incidere su velocità e controllo, facendo un bel regalo a chi è in attacco. Riuscire a cogliere quel momento, che può rappresentare un punto di non ritorno, non è facile; come sempre, occorre studio, concentrazione e dedizione. Certamente si può affinare questa abilità, soprattutto se si ha l’opportunità e la voglia di osservare ciò che succede in tante partite. Nei campionati giovanili, dove si finisce per contare i lanci più che a soppesarne la qualità, scoprire il momento critico pare non sia fondamentale; eppure dovrebbe essere una abilità da apprendere e da insegnare. Anche a livelli superiori, si tende a spremere i lanciatori, fino al punto che loro stessi chiedono di essere sostituiti, quando non si sentono alla frutta: Il segnale normalmente è il mal di braccio, più che la perdita di qualità dei lanci. Un bravo istruttore dovrebbe richiamare l’attenzione anche su questo, cercando di offrire suggerimenti utili al superamento di una crisi che potrebbe essere solo momentanea, più psichica che fisica. La stessa cosa vale per il battitore. Il “pinch” talvolta è causato dalla paura, dalla perdita di fiducia nei propri mezzi. Anche i più grandi si trovano ad affrontare situazioni critiche, circostanze in cui vorrebbero essere da tutt’altra parte: solo una grande forza interiore può aiutare. In quei momenti la sfida battitore-lanciatore raggiunge il suo acme. Lo stesso vale anche per noi, nel quotidiano. Il diamante, però può essere d’aiuto, perché quando sei in campo non puoi più tirarti indietro, mostrare paura dell’avversario; anzi, devi evidenziare quante sono notevoli le tue abilità per farti rispettare, dentro e fuori dal campo. Figure come quella di Christy Mathewson, giocatore e scrittore, non se ne incontrano tutti i giorni. Leggendo il suo libro ‒ la cui seconda parte del titolo è “or Baseball from the inside”, cioè “il baseball ‒ anche nell’accezione di palla da baseball ‒ dal di dentro”, si possono imparare tante cose, anche se sono passati oltre cento anni dalla sua pubblicazione. Ai nostri giorni, ammettere le proprie debolezze e i propri limiti non pare proprio in voga; nonostante ciò, solo se si colgono per tempo i segnali di una crisi, si può tentare di superarla. Il fatto che questo non avvenga o avvenga in modo sporadico e tardivo è, a mio parere, il risultato di voci distorcenti e di suoni assordanti che finiscono per obnubilare la nostra mente; di conseguenza, dovremmo fare come i bravi manager, essere in grado di concentrarci su ciò che è importante, determinante e agire a ragion veduta. Troppo difficile, ma chi conosce il nostro gioco sa molto bene che deviare volutamente una palla in foul ha conseguenze ben diverse dal calciare fuori un pallone: da una parte si rischia di subire dei punti, dall’altra, una semplice rimessa laterale; proviamo a farne una semplice estrapolazione e capiremo il perché di tante situazioni. Anche per questo sarebbe bene che ci dessimo qualche “pinch”, qualche pizzicotto per svegliarci, per ritrovare quel sano senso critico che fa la differenza e ci pone al riparo da tanti imbonitori e saputelli “last minute”. Solo così potremo davvero avere e mostrare una nostra personalità, un bel rapporto fra di noi e col baseball stesso e nessuno si stupirebbe se, finita la partita, ci lasciassimo mordere da una tarantola musicale, facendo il giro delle basi al ritmo di una coinvolgente “pizzica”. Vi andrebbe?

 

 

giuliano, 22 ottobre 2018.