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A chi mi vuole bene e a chi no

di Giuliano Masola. Nei giorni scorsi, per cercare di sopperire per quanto possibile a una situazione che sta diventando più che imbarazzante, ho arbitrato quattro partite di ragazze in una sola giornata, Non è la prima volta che mi capita una cosa del genere, ma fino ad ora ciò si era limitato ai tornei. Anche quest’anno le squadre stanno sopportando le mie manchevolezze direi, salvo qualche raro caso, con grande rispetto. Certo, non avendo alternative ‒ nella nostra zona, se va bene, viene coperta forse meno della metà delle gare ‒ si beve da botte. Alcuni mi chiedono come faccio: semplice, mia moglie mi tiene sotto controllo per quanto riguarda la dieta, in particolare, e, soprattutto la mia semplice filosofia è che coi giovani si resta giovane, sui campi da baseball come all’università. Un motivo in più per continuare d arbitrare è che esistono persone meravigliose, nonostante l’abbruttimento sociale imperante. Domenica, sono successe almeno un paio di cose che mi hanno commosso. A metà circa della terza partita, nell’intervallo fra un inning e l’altro, mi sento chiamare e vedo una signora che scende di corsa la scala del bar nei pressi per porgermi qualche cubetto di ghiaccio. Purtroppo, il passaggio attraverso al rete ne ha fatto cadere un paio, ma uno è rimasto: me lo sono strofinato dietro il collo, per qualche istante, poi ho dovuto riprendere la partita. Non è stato l’unico fatto: ìncredibilmente, in quella gara c’è stato qualcosa di magico e, ripensandoci, beneaugurante. Chi stava nelle tribunette, qualche fortunato anche all’ombra, si rendeva conto che in campo si poteva essere stanchi, soprattutto sotto un sole martellante. “Ma non ha paura di star male?”. (Già questa attenzione aiuta). A quel punto, una signora interviene: “Sa che mi piacerebbe provare a fare l’arbitro… l’anno prossimo”. Con una azione alla John Wayne, estraggo rapidamente un bigliettino da visita, modello “fai da te” (unico risultato tangibile di un corso universitario di informatica) e glielo porgo: “Si comincia settembre, non l’anno prossimo. Mi scriva, così vediamo come fare”. Non avevo mai incontrato quella signora e non so se poi la mia azione produrrà qualche risultato. Credo però che ciò possa evidenziare la necessità di uscire da schemi vecchi e anchilosati. Non credo che tutti dicano soltanto no, di fronte a reali necessità; spesso la generalizzazione finisce per chiudere ancor più le porte, anziché spalancarle. Anche se potrebbe apparire fuori tempo massimo, abbiamo ancora la possibilità di darci una mossa, o meglio un colpo di reni. Se speriamo che gli aiuti arrivino dall’esterno, siamo perduti.  Mi rendo conto di essere un arbitro sui generis, che aborre la burocrazia, che la preferisce la dedizione all’eleganza che non conosce tanto bene le regole e sbaglia più di una chiamata. Se un commissario (parola che mi dà tanto l’idea di regime) venisse a vedermi, penso che dovrebbe scrivere tanto da superare il numero di volumi dell’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert. E proprio questo, però, che mi fa restare vicino a chi è in campo e è fuori, soprattutto a chi vede nel baseball una forma educativa. Vedo tanta gente intorno ai campi, ma pochi dentro. Mi commuovono quelle non poche persone che con devozione e silenzio, curano gli impianti, come se fossero il giardino di casa. Sono persone cui sento di dovere molto, poiché li vedo vicine: quel livello basso apparente, in realtà, nasconde una grande forza, una grande disponibilità. Se qualche riga è sbagliata, si può aggiustare, se lo la distanza dal piatto alla pedana di lancio, idem, e così via. Che piaccia o no, preferisco stare con chi ha la forza dell’umiltà, umiltà che non è sottomissione. Vedete, dobbiamo cambiare tutti, spremere un pochino il cervello e, soprattutto buttare alle ortiche la supponenza, la superbia, l’ignoranza, la maleducazione, la stupidità. Ogni giorno ci propinano dosi massicce di anticultura e, anche se non lo vogliamo entrano in noi in mille e sempre diversi modi, facendo peggiorare noi e il nostro atteggiamento verso gli altri. Come ripeto, a me piace combattere per degli ideali, ideali che si traducono in obiettivi per le generazioni attuali e per quelle che verranno. Il nostro cervello, le nostre idee e il nostro spirito di sacrificio possono battere tutti i kalashnikov del mondo, se lo vogliamo. Nessuno nasce eroe o deve diventare un eroe. Occorre solo ricordarci che siamo uomini, dotati di logos, cioè di cervello, e che siamo chiamati a illuminare il mondo col nostro lavoro modesto, ma ininterrotto. Il problema non è tanto se ci saranno nuovi arbitri, ma quello di esserci ancora, almeno sui diamanti. Con un interrogativo: perché abbiamo desistito, perché non abbiamo fatto nulla per cercare di superare i problemi? L’accidia è il peccato più grande, al di la dell’aspetto religioso. Dobbiamo farcela insieme. Abbiamo, ad esempio, un problema logistico ancora insuperato: come arbitri, di baseball in particolare, poiché da mesi  non abbiamo più una sede: se dovessimo avere dei nuovi allievi, dove andiamo a fare lezione? La risposta dall’Amministrazione Comunale si fa ancora attendere per cui, considerando che è praticamente settembre, ogni tentativo di avere nuovi arbitri rischia di abortire. Certo ‒ mi scuso per l’intervento politico ‒ gli arbitri, così come il baseball in generale, vale “una cicca frusta”, dal punto di vista elettorale, per cui si può lasciare in coda. Io non mi arrendo e continuo a combattere, per cui sarà una bella cosa che le Società comincino a pensare di dedicare uno spazio settimanale nelle loro strutture per un futuro corso; se lo vogliono, lo possono fare, piantandola di scimmiottare l’atteggiamento dei vertici (dove sono?) in questa delicatissima situazione, evitando un triste scaricabarile.

Vedremo.

 

giuliano, 2 luglio 2018