di Giuliano Masola. Il bullismo è il sintomo evidente di una società che in cui si hanno contemporaneamente un incredibile progresso tecnologico e un terribile ritorno a comportamenti primordiali. Le immagini che ci arrivano su quanto succede nelle scuole ‒ in varia misura nessuna ne è completamente esclusa ‒ finiscono per non sorprenderci più: si può cambiar canale, o spegnere la tv o il cellulare, ma il problema resta. Da un po’ di tempo c’è la tendenza a considerare l’erba del vicino meno verde della nostra, aumentando il nostro senso di superiorità, per cui, tappandomi il naso alla Montanelli, parlerò di altri.
Pochi giorni fa Jenn Slater, la madre di Cassidy, ha messo in rete diverse immagini che testimoniavano come la figlia, che frequenta le medie, fosse oggetto di bullismo da un paio d’anni. Un video duro, ma istruttivo, ovviamente per chi vuol capire. Cassidy vive con la madre a Scranton, in Pennsylvania, a poca distanza dalla sede degli Scranton/Wilkes-Barre RailRiders, squadra di Triplo A affiliata agli Yankees. E gli Yankees non hanno tardato a dare una risposta: in un video, ogni giocatore p comparso con una serie di cartelli in cui mostrava il proprio pensiero contro ogni forma di bullismo e il supporto alla giovane Cassidy. “Ciao Cassidy, abbiamo visto il video e vogliamo dirti che non sei sola: Staremo al tuo fianco!” Il rapporto fra lo sport è i giovani, in particolare nel baseball, è molto forte e sentito. Prima degli incontri di campionato fra Indians e Twins giocati nei giorni scorsi, la prima cosa che hanno fatto i giocatori, in particolare portoricani, è stata quella di andare far i ragazzi, nei loro quartieri devastati dagli uragani; non solo, l’incasso delle partite è stato destinato alle opere di soccorso. Molti dei giocatori di Major League vengono da un duro passato, da condizioni di vita disagiate e fanno di tutto per arrivare, pur sapendo quanti sacrifici devono affrontare. Il baseball, in alcuni casi, ha fatto in modo che un ragazzo di strada sia diventato non solo un campione nello sport, ma anche nella quotidianità. Il baseball è un mezzo per educare, per imparare, per apprendere. Si tratta di un percorso educativo che parte da lontano. Una volta un allenatore di un altro sport disse che era lì per condurre la squadra, non per fare l’assistente sociale: doveva insegnare a vincere; era lì, pagato per quello. Cosa succedeva fuori dal campo non gli importava. Gli sarebbe importato se qualcuno dei ragazzi che allenava avesse fatto delle avances non del tutto lecite alla figlia, magari. Qui sta quella “sottile linea rossa”, quell’interrogativo cui spesso rispondiamo un po’ seccati. Il bullismo c’è sempre stato, seppur in forme diverse, ma ciò non significa tolleralo o, sbrigativamente, far finta che non ci sia. Già nel “Vocabolario Parmigiano-Italiano” del 1856 di Carlo Malspina esistono diversi termini collegati al “bullo”, inteso come smargiasso, bravo, prezzolato pronto a difendere chi lo assume o a vendicarsi per lui. In parole povere, si tratta dei bravi di manzoniana memoria. Il termine ha subito variazioni di significato, fino a quel “Bulli e pupe”, che il cinema ha proposto nel 1955 (diretto da Joseph L. Mankiewicz, con Marlon Brando, Jean Simmons, Frank Sinatra e Vivian Blaine). In Italia, dove più difficilmente si è propensi a vedere in negativo, salvo che in politica, fino a non molti anni fa il bullo del quartiere, del bar, alla fine era un tipo simpatico; bastava non dargli troppa corda. Ora la situazione è drasticamente peggiorata, poiché, purtroppo, sono i mezzi di comunicazione a fare da “educatori”, senza una concreta, per ora, possibilità di difesa. Ciò che ci giunge, soprattutto raggiunge i più giovani, è che con la violenza e prevaricazione è più facile e rapido il raggiungimento del successo. Drammaticamente, però, sul terreno restano troppe persone colpite e violentate, se non fisicamente eliminate. Noi tutti abbiamo un delicatissimo compito, quello di condurre per mano chi si avvicina al nostro gioco. Non ci sono tante scelte, visto che il campetto della parrocchia è tendenzialmente deserto. Certamente le responsabilità di noi adulti sono oggettive: è inutile trovare scuse, poiché non facciamo abbastanza, avendo perso autorevolezza, più che autorità. In un mondo in cui tutto apparentemente è lecito e possibile, nella scaletta delle priorità i bambini, cioè i dirigenti e i genitori di domani non sono più al primo posto. Anche la squadra diventa un luogo-rifugio, subito dopo la scuola. E la squadra serve per dimostrare quanto la propria figlia o il proprio figlio sopravanzino gli altri e diventare professionisti superbamente pagati. Poiché in diversi la pensano allo stesso modo, è più che possibile che si instaurino forme di violenza: la lotta per la sopravvivenza resta atavica. È bene ricordare però, che anche quando si è al massimo come atleti, si può scendere il minimo come uomini. Quanti “dei” in ogni sport hanno fatto fine miseranda? Non pochi. In tutto questo dobbiamo porci domande, riformulare gli obiettivi, cercando di capire quali sono quelli veri, mettendoci dalla parte di chi sta crescendo, in mezzo a mille condizionamenti. Si tratta di un lavoro da compiere ogni giorno. Per farlo occorre tanta umiltà, provando a farci una semplice domanda: quanto dedico davvero del mio tempo ai ragazzi, ai figli? Non mi stupirei se qualcuno rispondesse che non ha tempo perché deve accudire l’amico a quattro zampe. Difendere i giovani, egoisticamente, significa difendere noi stessi, poiché abbiamo e avremo bisogno di loro, specialmente quando le forze cominceranno ad abbandonarci e diventeremo un peso, rischiando di essere, a nostra volta oggetto di bullismo. Il baseball, con tutte le sue possibilità, ci può dare una mano. Proviamo a fare un piccolo passo in più: sarà la più bella delle vittorie. Giuliano Masola 22 aprile 2018