di Giuliano Masola. Come canta Guccini, “i vecchi non sanno distinguere il vero dai sogni”; non ci si pensa, ma ciò pone domande. Col trascorrere del tempo, si fa maggiormente fatica a stabilire una esatta cronologia degli avvenimenti, ricordare i nomi e i volti delle tante persone con le quale ci si è rapportati. Ogni tanto, si cerca di rifare ordine, trovare un po’ di spazio fra cantina e garage (un amico di vecchia data ne ha affittato uno apposta…), anche per ospitare cose d’altri; se si tratta di cimeli, come si fa a dire di no? Personalmente, sono per il “disordine controllato”: le operazioni di risistemazione mi preoccupano, perché si finisce sempre per dovere eliminare qualcosa. È un momento in cui ti imbatti in tanti oggetti pressoché dimenticati: divise a righe bianche e rosse da arbitro uno scudo, che si usava al posto della pettorina, guanti di ogni specie ed epoca, libri, video, mazze, maglie, cappellini… Fra le tante cose arrivate a casa nei giorni scorsi, mi è capitata una borsa, fortunatamente di non grandi dimensioni. Subito, non volevo aprirla, ma poi la curiosità ha avuto il sopravvento. Così comincio a estrarre maglie, pantaloni e un giubbotto con una bella scritta “Italia”: una divisa della nazionale insomma, anche se mancava la casacca. Stavo pensando a cosa farne, poiché a prima vista sembrava qualcosa di normale, e poi che la taglia era il doppio della mia; per quanto sembrasse ancora nuova, non avrei potuto indossarla. Dopo aver fatto lavare e asciugare il tutto, visto che era lì da tanto tempo, mi sono messo a ripiegare il giubbotto e ho avuto una sorpresa: “Notari”: Si, sul dorso c’era proprio il nome del “megapresidente”. Ciò ha cambiato tutto. Chi vive da tanti anni nel nostro piccolo grande mondo, non può restare indifferente di fronte alla memoria di una persona che ha dato un contributo notevolissimo allo sviluppo del baseball, anche se, in alcune occasioni non era facile pensarla come lui. Nelle situazioni come questa, il cervello acquista velocità, va alla ricerca di momenti importanti, di quelli che hanno, o avrebbero potuto cambiare qualcosa. È capitato anche a me. Fra la fine degli anni Novanta e quelli di inizio Duemila, il baseball, nonostante le apparenze, aveva intrapreso una china pericolosa: i successi degli anni precedenti sembravano sufficienti a garantire prosperità, ma si trattava di una pia illusione. Era una situazione in cui, come normalmente capita quando si pensa di avere successo a basso costo, emergevano degli arrampicatori, degli affamati della sedia pronti a tutto; in alcuni casi, dietro gli sbandierati interessi per il nostro sport, prevalevano quelli personali. Ciò aveva portato al vertice di qualche organismo federale non proprio il top della qualità e dell’abnegazione. In particolare, per quanto riguarda i tecnici, la grande attività in campo, non era supportata da cognizioni che stavano diventando sempre più importanti, in particolare per le aree della motricità, della metodologia e della psicologia. Così con Claudio Reverberi, Beppe Rosati e Francesco Moretti in veste di traduttore, avevamo realizzato tutta una serie di pubblicazioni e video riproduzioni, attraverso un lungo e faticoso lavoro di traduzione e di doppiaggio. Non solo. Poiché non credevamo più nella formula e utilità delle convention annuali, spesso trasformate in una passerella autoincensante, avevamo organizzato incontri biennali alternativi. In questi incontri, cui normalmente partecipavano, in particolare, tecnici delle vicine province emiliane e lombarde, si presentavano e discutevano argomenti che non venivano normalmente affrontati, anche organizzando test, elaborando questionari, nell’ambito della maggiore interattività possibile; alla fine veniva elaborato un sunto che veniva inviato ai partecipanti. Visti in positivo, i nostri incontri “carbonari” potevano essere complementari alla convention ufficiale. In uno di questi nostri incontri, alla “Pineta” di Collecchio, si presentò il presidente Aldo Notari, che aveva anche il tesserino di tecnico. I rapporti fra il nostro gruppetto e la Federazione, al tempo, non erano idilliaci. Così, forse anche per qualche rimasuglio sessantottino, non abbiamo dato spazio al presidente per intervenire. Notari, che aveva mille altri impegni, dopo meno di mezz’ora se ne andò, non certo soddisfatto. Dico la verità: la cosa al momento quasi ci rallegrò, poiché avevamo dimostrato che nessuno, per quanto importante, ci avrebbe imposto la propria presenza. Osservando ora quella scritta sul giubbotto, però, mi sono reso conto di uno sbaglio di prospettiva, di un grave errore politico-sportivo. Non abbiamo capito, infatti, che non lasciando parlare Aldo, abbiamo perso una grande occasione. Non c’è mai assoluta certezza, ma si sarebbe potuto iniziare un discorso che avrebbe potuto fare di Parma un punto centrale anche per i tecnici, evidenziando una impostazione qualitativamente alta e proiettata al futuro. A onor del vero, parlare e soprattutto discutere con Notari non era facile. Normalmente di fronte a lui avevi torto, ma una delle sue grandi abilità era quella di cogliere il buono delle tue ide e, facendole sue, di realizzarle. Ma è andata così e, purtroppo, di quell’errore credo che si stiano ancora pagando le conseguenze. Così, non mi resta che una divisa, una divisa importante, di una storia importante. Ora, che non credo di far più parte di quegli eroi “giovani e belli”, non resta che un po’ di rammarico. E se ancora oggi il mio spirito si ribella a fronte di tanta triste pochezza, mi rendo conto di doverlo un po’ anche ad Aldo, a una generazione che si è impegnata a fondo, anche se ha finito per non risultare vincente.
… quasi quasi mi provo il giubbetto…
Giuliano Masola, 27 gennaio 2018