fbpx

L’importante è capirsi

di Giuliano Masola. Capita raramente di trovare libri o assistere a film in cui i termini del baseball o del softball vengono ben tradotti. Un caso fortunato è “Luglio per sempre” di Tim O’Brien, un romanzo del 2002 comparso due anni dopo in Italia. La traduzione di Grazia Gatti è, per la parte che ci riguarda più da vicino veramente buona, poiché la traduttrice lascia sapientemente in originale definizioni come “intentional walk, delayded pick-off, hit and run”. Il romanzo di O’Bren, nel trattare di una rimpatriata da ex studenti dell’Università di Darton Hall, approfondisce e analizza situazioni che vanno dal presente al passato ‒ il 1969 ‒ e viceversa; trent’anni dopo i tempi quasi si confondono. Nell’incontro, fra i primi a raccontare le proprie vicende è David Todd, un promettente interbase che aveva mollato tutto per andare il volontario in Vietnam. Lì, la sorte non gli è favorevole, poiché durante uno scontro quasi tutto il suo plotone ci lascia le penne; ferito, si trascina per giorni. Alla fine viene recuperato, ma perde una gamba; “game over” per i sogni di un ventiduenne, che mirava alla Major League. Tutto questo accade nel luglio del 1969, quando Rod Carew ruba per la settima volta casabase e l’Apollo 11, con a bordo Armstrong, Aldrin e Collins, sta per giungere sulla Luna. Sempre in quei giorni “Bad Moon rising”, dei Credence Clearwater Rivival (mi viene un po’ di pelle d’oca riascoltandola) era balzata quasi al vertice delle classifiche. Davis, ferito agli arti inferiori, cerca di trascinarsi nella boscaglia ai bordi di un fiume, fra i cadaveri dei suoi compagni e le voci dei vietcong. Nel dolore che solo la morfina riesce a calmare, c’è una voce che pare inseguirlo, che gli ricorda il suo stato, lo rimprovera. Nella sfortuna, Todd non solo non ha più la possibilità di giocare, ma verrà pure abbandonato dalla moglie. Un dramma, un dramma che continua a trovare nel baseball un motivo per farcela, nonostante tutto. Il ’69 è l’anno di quegli “amazing Mets” che già a luglio mostrano la loro forza e sono proiettati versa la vittoria finale. Il tutto pare commentato dalla voce di una radiolina, presa a un compagno ucciso, che si mescola alla sua voce interiore: “E per voi irriducibili patiti del baseball, è una stagione da ricordare nei secoli… Una banda d campioni tramontati e brocchi senza speranze, e ci sorprendono tutti”. La voce, però, chiarisce la situazione, rammentandogli una scelta che Davis ha preso un po’ troppo alla leggera, poiché si tratta di “una guerra con le cartucce cariche”. Davis Todd, persa la gamba, avrà una vita molto difficile, ma avrà il coraggio di affrontarla. Cercare le basi della vittoria dalla sconfitta è un modo classico di dare fiducia e ottimismo. Naturalmente il successo non è mai assicurato, ma lo sforzo per ottenerlo è già molto importante. Al luglio del 1969 in questi mesi ci accomuna il campionato e la guerra, una guerra questa volta molto più vicina a noi e ci pone domande anche dal punto di vista sportivo, ponendo sempre una primigenia questione: cos’è la vittoria, cos’è la sconfitta? Il nostro compito è quello di preparare alla gara, al campionato. Per farlo, nella maggior parte dei casi, cerchiamo di inculcare tecniche di ogni tipo per battere, correre, tirare, prendere… Occorre però, fin dagli inizi, preoccuparsi della mente, della psicologia di chi ci troviamo a guidare. So che può sembrare assurdo, ma la domanda che dovremmo porci è: sappiamo cosa facciamo domani, a fronte della più inattesa delle situazioni? Una domanda che a meno di duemila chilometri ad Est sono costretti a porsi ogni minuto. Spesso non siamo pronti a fronteggiare le difficoltà, così come difficilmente lo siamo per affrontare un lanciatore che spara la palla a oltre 100 miglia e che non abbiamo mai incontrato prima. Il baseball ha di per sé una grande caratteristica: l’internazionalità. Ciò credo debba essere sempre molto attentamente considerato. Non sappiamo quando la crisi attuale cesserà; certamente il solco che si sta producendo fra i contendenti si approfondisce ogni giorno; recuperare non sarà una passeggiata di salute. Personalmente sono convinto che lo sport, baseball compreso, possa giocare un grande ruolo. Certamente lo sport è stato politicamente strumentalizzato in tane occasioni, non c’è da meravigliarsi. Ma chi fa sport, può fare tanto, poiché lo sport è relazione: si può giocare nel proprio cortile, ma appena si può si cerca di competere con ragazzi e ragazze di altri cortili, quartieri, città, stati. La mia speranza è che chi fa davvero sport riesca a mantenere schiena dritta e testa alzata, cercando di guardare sempre oltre ogni tipo di barriera. Per farlo occorre coraggio, volontà, spirito di sacrificio. Soprattutto, è necessario parlarsi, comprendersi. Anche un romanzo con una buona traduzione aiuta. Tradurre è trasferire conoscenza, costruire un ponte fra chi scrive e chi legge: una “liason” che anziché “dangereuse” è “passionante”. Non è facile, ma il mio suggerimento è di evitare di essere travolti dalle emozioni e dai drammi di oggi e di cominciare già ora a costruire ponti per il domani. Come ha detto Babe Ruth, “L’essere andato al piatto non deve incuterti paura; resta in partita!”.

Giuliano Masola Cannitello, 3 giugno 2022