La Gazzetta dello Sport di oggi ospita a pag. 28 e 29 un’interessante inchiesta di Vincenzo Di Schiavi sull’adozione della sentenza Sheppard e sulle ricadute nel mondo della pallacanestro italiana.
Uno spunto estremamente interessante anche per il nostro baseball alla luce delle normative che la Fibs desidera introdurre in merito alle regole di tesseramento e di composizione dei roster.
Buona lettura a tutti.
ANALISI — Abbiamo approfondito quest’ultimo punto che ci porta a sfatare un luogo comune. I dati dimostrano che il protezionismo non funziona. O quanto meno non ha prodotto i risultati sperati, ma nel migliore dei casi alcune eccellenze in mezzo a tanta mediocrità. Abbiamo preso come punto di partenza la stagione 2001-2002, quella senza barriere, in seguito alla sentenza Sheppard che consente ai club di tesserare atleti extra comunitari senza alcun vincolo. La percentuale di utilizzo degli italiani (con almeno 10 minuti di media e con un minimo di 10 presenze a referto) è del 29,3, vetta superata solo recentemente (2012/13 e 2015/16) con misure iper protezionistiche. Nel decennio di mezzo un innegabile paradosso: più aumentano le garanzie per i giocatori indigeni, meno vengono utilizzati. Nel triennio 2003-2005 almeno 3 contratti italiani e 5 a referto (la “trovata” dei giovani di serie…). Ecco i primi steccati, ma è anche l’epoca dell’argento olimpico di Atene, picco di una generazione che comincia la sua parabola discendente. È lì che bisognerebbe iniziare a impostare un ricambio che non ci sarà. E, col senno di poi, probabilmente anche per colpa delle regole. Il 2006 è l’anno della svolta protezionistica: la Fip, recependo un’indicazione del Coni, impone la norma per cui il 50% del roster dei club di Serie A deve essere composto da atleti di formazione italiana. Risultato: i costi dei nostri giocatori lievitano, mentre il posto fisso abbassa motivazioni e competitività. Così il rapporto qualità-prezzo degli italiani fa sì che i club vivano le nuove norme come un obbligo e non come un’opportunità, virando su strategie esterofile. Morale: la legge, seppur elaborata con intenti costruttivi, ottiene l’effetto contrario. Nel 2006/07 la percentuale di utilizzo degli italiani crolla al 22,4, il dato peggiore degli ultimi 16 anni, creando un trend invertito solo parzialmente dalle norme attuali che prevedono, di fatto, il contingentamento anche dei giocatori comunitari. Il minutaggio degli italiani realmente utilizzati, dal 2010, è tornato a crescere senza però modificare sensibilmente la tendenza e men che meno producendo qualità diffusa. Il campionato che sta per cominciare ci smentirà? Pare difficile.