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Mazzieri: “Programmazione, investimenti, lavoro e pazienza. E giocare di più”

Il contributo di autorevoli opinioni sull’eredità lasciata dal World Baseball Classic inizia con Marco Mazzieri, manager dimissionario della nazionale italiana, che analizza per noi i riflessi derivanti dall’ottimo comportamento della sua squadra nella manifestazione appena conclusa.
“Se ripenso a quanto accaduto in occasione del Classic del 2013 devo affermare che dopo un ottimo seguito mediatico e un iniziale entusiasmo si è mosso ben poco. In quell’occasione il nostro passaggio al secondo turno creò un forte impatto emotivo ma poi tutto si esaurì in poco tempo senza che il nostro movimento ne traesse un effettivo vantaggio. Anche quest’anno il riscontro è stato notevole. Se nel 2013 avevamo superato il primo turno grazie ai successi su Messico e Canada, questa volta abbiamo sfiorato l’impresa di qualificarci pur essendo stati inseriti in un girone difficilissimo: siamo stati costretti a giocare lo spareggio con il Venezuela solo a causa di un fortunato errore di piazzamento del loro lanciatore nella seconda gara del girone. Se fosse stato in posizione canonica non avrebbe potuto effettuare il tiro che ci è costato l’eliminazione a casa base del corridore che rappresentava il punto della vittoria e il conseguente passaggio al secondo turno”.

L’interesse per il percorso azzurro nel Classic è stato palpabile al punto che perfino alcuni quotidiani nazionali, stimolati anche dalle parole del Presidente venezuelano Maduro, hanno manifestato interesse dedicando articoli e commenti al torneo e al cammino degli azzurri.
“Significa che il baseball giocato ai massimi livelli attira ancora. Il nostro obiettivo deve quindi essere quello di offrire uno spettacolo di alto profilo, di rendere divertente l’idea di andare allo stadio. Poche persone hanno quella conoscenza e quella cultura del gioco che portano a stare quattro ore sulle tribune esclusivamente in funzione della partita: per portare la gente a vedere il baseball bisogna creare spettacolo, dare spazio ai personaggi, migliorare le strutture. In tutto il mondo il senso dell’andare a vedere una partita di baseball è quello di passare una giornata al campo in una struttura viva e accogliente. Da noi non è così, a cominciare dall’inadeguatezza dei nostri impianti. Basta pensare alla bellezza del campo da baseball, alle sue geometrie, all’alternanza tra il rosso e il verde: la mia visione può essere ritenuta romantica e un po’ naif, ma se vogliamo riportare spettatori allo stadio dobbiamo rivedere tutto il sistema iniziando proprio dallo spettacolo e dal contorno che siamo in grado di offrire”.

Marco Mazzieri nel dug out durante lo spareggio tra Italia e Venezuela del World Baseball Classic 2017

Responsabilità che tocca alla Federazione o alle società?
“Tocca a tutti, alla Federazione, alle Società, a ognuno di noi. Hai notato che i nostri giocatori danno l’impressione di essere più bravi quando vengono ripresi dalle televisioni estere? Sono sempre gli stessi ragazzi, giocano sempre allo stesso modo, però sembra quasi che esistano un baseball di serie A ed uno di serie B interpretati dagli stessi protagonisti. E’ inevitabile che l’interesse generale si sposti su eventi come il Classic o le Olimpiadi invece che sull’attività nazionale. Per vendere un prodotto devi renderlo più appetibile, magari partendo dalle piccole cose. Lo stadio e il campo devono essere accoglienti, piacevoli da vedere e da vivere. Invece le società ragionano e si comportano in modo opposto: i settori giovanili vengono spesso visti come un costo e non come un investimento, i contributi erogati dalle amministrazioni comunali vengono spesi per la gestione ordinaria, per pagare le trasferte e gli stipendi ai giocatori stranieri, mai per la manutenzione degli impianti. E’ vero che viviamo un momento economico poco favorevole ma ritengo sia comunque necessario effettuare un salto di qualità”.

Un salto di qualità che dovrebbe ovviamente coinvolgere anche gli aspetti tecnici. Nel corso degli anni Marco Mazzieri ha spesso lavorato con i giovani più promettenti espressi dal baseball nazionale, li ha coinvolti negli stage del gruppo azzurro e li ha utilizzati nelle edizioni dell’All Star Game.
“Abbiamo cercato di coniugare lo sviluppo del talento con la ricerca dei risultati sportivi. Lo abbiamo fatto in un periodo nel quale il baseball era uscito dal programma olimpico con la conseguente e progressiva riduzione dei contributi elargiti dal Coni. Ci siamo inventati un’attività in una situazione quasi impossibile e abbiamo conseguito risultati che sono sotto gli occhi di tutti: abbiamo vinto campionati europei e abbiamo creato spazio ai giovani più interessanti. Ora che il baseball e il softball sono tornati ed essere discipline olimpiche sarà molto più semplice organizzare il lavoro destinato all’attività di primo livello. Chi sarà chiamato a gestire il gruppo della nazionale avrà un buon vantaggio ma dovrà comunque scontrarsi con gli altri, storici, difetti del baseball italiano”.

Difetti riconosciuti da tutti ma che richiedono tempo ed investimenti per essere risolti.
“Il problema principale è legato al fatto che Italia si gioca troppo poco. Da noi si disputano poco più di trenta partite in un anno, nel resto del mondo se ne giocano trenta in un mese. Venti allenamenti non valgono una sola partita: rispetto agli altri noi partiamo da una posizione di ritardo, se il movimento resta questo non faremo passi avanti.
Bisognerebbe giocare di più, invece quest’anno il campionato di vertice si articolerà su due sole partite a settimana: non c’è da stupirsi se poi i nostri atleti faticano ad adattarsi ai ritmi di tornei internazionale che prevedono la disputa di nove gare in dieci giorni”.

L’altro atavico problema del baseball italiano è legato alla scarsissima produzione di lanciatori di livello internazionale.
“Inutile girarci attorno. Può essere un problema di taglia atletica o di sviluppo dell’attività sportiva: la verità è che in Italia non abbiamo lanciatori, non riusciamo a produrne. Avete visto i lanciatori olandesi al Classic? 93, 94, 95 miglia… e noi? Noi produciamo ottimi battitori, buoni difensori, ma pochissimi lanciatori. Bisogna analizzarne i motivi e costruire un progetto per avere tra cinque anni giocatori in grado di raggiungere con costanza le 95 miglia. Ci vogliono metodo, lavoro e pazienza. Ma anche in questo caso ci si scontra con uno dei principali difetti del nostro baseball, le pochissime partite che si giocano a livello giovanile.
E’ necessario rivedere il sistema, altrimenti il giro non si allargherà e l’interesse sul baseball tornerà a manifestarsi soltanto in occasione di Olimpiadi e Classic”.