di Giuliano Masola. Per parlare di fuoricampisti, o “sluggers” se preferite, occorre innanzitutto sapere cos’è un fuoricampo. La traduzione di “homerun”, infatti trae in inganno, poiché si può giungere direttamente a punto se la palla resta “inside the park”, cioè non supera la recinzione, e il battitore corre “da casa a casa”. Questo secondo tipo è probabilmente più spettacolare, poiché vi è un elemento di rischio per il corridore: la probabilità di essere eliminato prima di toccare il piatto. Guardando le statistiche (in primis quelle del Baseball Almanac) ci si rende conto, come, con l’evoluzione del gioco, degli impianti e delle attrezzature, a fronte dell’incremento dei classici fuoricampo, ci sia stata una progressiva riduzione di quelli interni. In questo caso si annoverano dei veri specialisti: Jesse Burkett “il Granchio”, ne ha realizzati 55 fra il 1890 e il 1905; Sam Crawford 51 (1899-1917), Tommy Leach 48 su 63 in carriera (1898-1918) e Ty Cobb 46 (1905-1928).
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