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Aspettando il Natale

di Giuliano Masola. È tempo di scambi augurali: un momento di incontro fra il virtuale e il reale (dai cellulari allo spumante e al panettone il passo è breve); è un momento in cui vorremmo apparire tutti un po’ più buoni. Nonostante il passare del tempo, certe abitudini è meglio conservarle, così oltre a Santa Lucia, possiamo scrivere a Babbo Natale (confesso che mi fido più della prima poiché la mia vista lascia a desiderare). Il logorio del tempo assieme a quello della vita moderna, come recitava un vecchio slogan di un amaro a base di carciofo pubblicizzato da Ernesto Calindri, produce i suoi effetti, per cui scrivo la letterina anche per una questione pratica, visto che per il nostro fisico la tecnologia non ha ancora pronti tutti i pezzi di ricambio. In questa situazione quindi non c’è da meravigliarsi se da alcune parti, tenuto conto di ciò, si fanno considerazioni sulla necessità dello svecchiamento (alias togliere il disturbo): occorre essere realisti.

C’è un solo piccolo problema, probabilmente superabile a breve, ma non subito: dietro ai vecchietti ancora in circolazione c’è sostanzialmente un vuoto di un paio di generazioni, e lo possiamo vedere in ogni campo. Ciò costringe a operare in una situazione difficile, una sorta di armistizio forzoso. Si parla spesso di giovani che si iscrivono a questo o a quel corso, ma che in gran parte dei casi, aimè, finiscono per non presentarsi all’appuntamento. Questo evidenzia una difficoltà ormai congenita: l’incapacità di saper coinvolgere e operare sul medio-lungo periodo. L’ansia di giungere rapidamente al risultato resta prioritaria nella grande maggioranza dei casi. Spesso si incita a vincere, a darsi traguardi ambiziosi, che però si riescono a raggiungere in misura minore del previsto (ci sono anche gli altri che hanno simili obiettivi). Anni fa, quando lavoravo in pianificazione, organizzavo un incontro annuale con programmatori d’Europa e d’America, cercando di spigare loro che ogni processo, inteso anche in senso industriale, non è una sorta di cerchio che ritorna su se stesso, ma è una sorta di spirale: immaginate graficamente un tornado. Se ci si muove in positivo, si va verso l’alto, altrimenti si sprofonda. Cercando di riordinare vecchie carte, mi sono trovato a rileggere alcune dichiarazioni di Aldo Notari, che mi paiono ancora attuali. Nel 1985, appena eletto Presidente della FIBS per la prima volta dopo le forzate dimissioni di Bruno Beneck, in una intervista evidenziò alcuni punti. Partendo dal presupposto che “ci sono ancora grossi problemi da affrontare, [per cui] ogni cosa va valutata con la dovuta attenzione”, alla domanda relativa alle novità che avrebbe portato il suo incarico, rispose in modo molto determinato circa il coinvolgimento di “tutte le strutture di base. Senza le fondamenta la piramide non regge”. Un circolo virtuoso destinato ad avverarsi solo “se le società sapranno gestirle”. Quasi venti anni prima, nel 1967 erano venuti alla ribalta i Procol Harum che ebbero un grandissimo successo con “A whiter shade of pale”. Secondo alcuni, il loro nome derivava probabilmente da una espressione latina: “lontano da queste cose, da queste persone”. Incredibilmente un gruppo rock che aveva il pubblico come base per il successo sembrava volesse starne distante: un controsenso. Ciò evidenzia quanto i termini e la definizione degli ambiti siano importanti; per questo occorre prestare una grande attenzione, soprattutto evitare di sperare che la buona volontà sopperisca a tutto. Penso che molti facciano parti di associazioni, circoli e quant’altro basati sul volontariato e si rendono conto perfettamente dei limiti che esso comporta; per esempio, la parte amministrativa viene affidata a commercialisti, persone che operano per professione. Bisogna quindi di tener conto di un mondo che non è omogeneo come si ritiene. Anche per questo mi sento in linea con quanto dichiarato a suo tempo da Notari quando si parla di un certo tipo di organizzazione, di strutture di base, quelle che nascono dal basso. Scimmiottando la pubblica organizzazione, le province, anche come unità organizzative nello sport, sono sparite. Se da un lato ciò può avere ridotto dei costi, dall’altro ha aumentato la distanza fra organi centrali e persone, soprattutto con chi è più capillarmente a contatto con il territorio. A fronte di questo mi pare necessario, nel nostro ambito, giungere a una forma organizzativa diversa dall’esistente; si possono individuare, per esempio, aree di competenza flessibili, superando, quando necessario, i tradizionali confini geografici e amministrativi. La cosa importante, in ogni caso, è che venga stabilita una qualche forma di autonomia atta a evitare che ogni problema giunga al centro. Non so cosa succederà nei prossimi giorni e mesi; di certo sarà opportuno pensare a qualcosa che va la di là delle cordate elettorali. Da troppo tempo siamo stimolati a guardare al personaggio, ad ascoltare discorsi spesso sguaiati e maleducati, mentre perdiamo di vista idee e programmi verosimili. Possiamo però riprendere la corsa, cominciando proprio dalla nostra realtà, da una situazione in cui tante domande richiedono risposte, soprattutto se si vuol guardare avanti. Non possiamo permetterci situazione attendistiche, di stallo, poiché, come diceva Kant, “Coloro che dicono che il mondo andrà sempre così come è andato finora contribuiscono a far sì che l’oggetto della loro predizione si avveri”. Noi dobbiamo avere la forza e il coraggio di cambiarlo in meglio, provando a trasformare un cerchio in un tornado, per costruire, anziché distruggere.

AUGURISSIMI!

 Giuliano Masola, 15 dicembre 2019.