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Baseball… no brawl!

di Giuliano Masola. Faccio fatica a scrivere, tanta è l’amarezza, ma mi sento obbligato a farlo. Stamattina sono tornato nelle scuole elementari, nel poco lasso di tempo che viene concesso dall’onninvadente Giocampus e non solo. Proprio all’inizio, l’insegnante chiede: “Sapete cosa ha fatto l’Italia?” Praticamente nessuno lo sapeva, solo qualche parlottio. Ha proseguito. “Ha perso… 3-4 con la Spagna, ma sapete cosa è successo? C’è stata una rissa in campo”. Un ragazzo dice: “Hanno fatto a botte? – “No, solo parolacce”. Sono rimasto annichilito; da quel momento la mia mente non ha pensato ad altro. Siamo abituati al “brawl”, in particolare delle Majors”, ma fortunatamente ciò sfocia raramente in veri corpo a corpo. Ho visto almeno in parte quanto successo, mentre attendevo il rientro degli arbitri, ma poi c’è stata l’occasione di vedere i vari replay con immagini sconvolgenti. Ma cosa significa “brawl”, mi sono chiesto. Ancora una volta è una di quelle parole che si trovano, in forme non troppo diverse, in varie lingue. Dal grido all’urlo… al raglio dell’asino.

Quest’ultimo significato mi pare il più adatto a definire chi ha causato la, in cui c’è stato almeno un ferito, e chi ha pensato di reagire senza rendersi conto delle conseguenze. Certamente le sconfitte bruciano, specie quando si pensa di far parte di una squadra che deve vincere. Alla fine, però, un po’ di punti di sutura e tante squalifiche non mettono nel dimenticatoio quanto accaduto; anzi, “social & media” scatenati: cos’è il baseball, se non uno sport violento? Certamente non abbiamo tanti amici, e molto probabilmente non facciamo molto per averne, per cui il risultato è evidente. Ciò che fa veramente rabbia è che qualche cretino vanifichi il lavoro di tanti. A Parma, così come a Bologna, centinaia di persone si sono dare da fare affinché le Qualificazioni Olimpiche avessero il miglior successo: tanti e di tutte le età hanno messo anima e corpo per riuscirci. Tutto bruciato dall’imbecillità, dal “brawl”, dal raglio dell’asino. Che l’Italia non ce l’abbia fatta è un tema che lascio a chi se ne intende. Personalmente, invece, chiederei i danni morali a chi ha causato un vero disastro dal punto di vista del Baseball, di chi fa davvero baseball, anche se questo non riuscirebbe mai a compensare il disastro. Peccato, un vero peccato, poiché permette alla concorrenza di puntare il dito (la pagliuzza è più facile da vedere della trave). In base a ciò, qualche considerazione e qualche proposta va fatta. Tutti, e soprattutto chi indossa la maglia azzurra devono essere coscienti della responsabilità che gli viene affidata. Certo, uno può sempre andar giù di testa, ma alle Qualificazioni i dilettanti hanno rappresentato una eccezione. Certo giocare insieme un mese non significa capire completamente i meccanismi e la filosofia di una squadra, ma chi gioca dalle 120 alle 140 partite in una stagione dovrebbe riuscirci abbastanza facilmente, altrimenti rischia, come successo, di diventare una bomba sempre pronta a scoppiare. Il problema è nella “maruga”, nella testa. In questi giorni, fra le varie cose ho fatto anche parte del gruppo dell’accompagnamento degli atleti per l’antidoping. A fronte di quanto accaduto, probabilmente sarebbe stato meglio, anche se pare una esagerazione, fare qualche test preventivo per capire le possibili reazioni degli atleti, soprattutto se sono sostanzialmente sconosciuti. Cosa sappiamo di chi arriva da lontano, magari all’ultimo momento, al di là dei sui trascorsi sportivi, delle sue medie? Normalmente poco o nulla, per cui il rischio è nostro. E paghiamo pure. Parlando con qualcuno dei nostri giovani che sta cercano di salire verso il “paradiso” delle Majors, ho avuto la conferma di quanto sia richiesto dalle organizzazioni professionistiche e non solo: capacità di usare il cervello, di essere disponibili a imparare con umiltà e sacrificio; il talento è solo la base di partenza. Ne sono più che convinto. Brawl è una parola strana, cui anche il parmigiano sbrai ‒ chiamata ad alta voce ‒ potrebbe averci qualcosa a che fare, oppure ricordare il nome di un noto amaro, o ancor meglio del castello che da il nome a un chianti di alta qualità. Di tutto questo, però, l’amaro resta in bocca, nessuna digestione, anzi. Il baseball nostrano non è ben visto dai nostri connazionali, almeno quelli del “sistema informazione”. I responsabili della WBSC, al contrario, hanno mostrato in più di una occasione il loro plauso a fronte di un impegno corale più che notevole. Uno stadio tirato a lucido e mantenuto in perfette condizioni nonostante la pioggia che quasi non ha dato tregua ha mostrato ‒ permettetemi la partigianeria ‒ la bellezza di Parma, in cui cultura e sport sanno integrarsi in più di una occasione. Ora, ci troviamo ad affrontare una sorta di “day after”, ma sono convinto che ce la faremo; come si dice, “i punti si fanno con due out”. Una riflessione si impone e va fatta, guardando avanti. Il baseball dà fastidio, chissà perché, nonostante sia praticato e seguito da una piccola minoranza, ma questo ci deve stimolare fare di più, a essere ancora più presenti. Il lavoro che ci attende è sempre più duro, ma non possiamo permetterci di farci del male da soli. Commenti stupidi, ingenerosi e soprattutto disfattisti aiutano solo i nostri avversari. Sono convinto che nel nostro piccolo ma grande mondo ci siano ancora tante persone coraggiose, disponibili, pronte a donare la loro generosità. Dobbiamo però essere molto più attenti nell’evitare che le mele marce distruggano il lavoro di intere generazioni. Ce lo chiedono ragazze e ragazzi che del baseball vorrebbero sentir parlare di belle imprese, di campioni del cuore. Il resto, la stupidità, la decadenza morale e la violenza, lasciamole lontane dal diamante; un diamante che brilla come il cuore di chi sa amare.

Giuliano Masola, 23 settembre 2019