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Aut…ismo

di Giuliano Masola. Ci sono dei giorni in cui capitano avvenimenti dello stesso segno; in questo caso riguardano l’approccio con chi è affetto da problemi fisici e mentali. Frank Nappi, il cui cognome tradisce una origine italiana, ha pubblicato una trilogia sul baseball: “The legend of Mark Tussler”, “Sophomore campaign” e “Welcome to the Show”. Dal primo è stato tratto un film dallo stesso titolo nel 2011. In linea generale il copione, non del tutto nuovo, è quello della ricerca di un talento per rinforzare una squadra in crisi, in uno sperduto paese dell’Indiana in questo caso. Arthur, manager dei River Rats, sbadatamente uscito di strada con l’auto, ha un incontro fortuito con il diciottenne Mickey Tussler, che vive in una fattoria con il padre, particolarmente protettivo e severo col figlio, e la madre. Mentre telefona per avere soccorso, Art, vede Mickey lanciare mele in una vecchia tinozza appoggiata a un albero con una precisione e velocità sorprendenti: il risultato andrà in pasto ai maiali, in particolare a un maialino, che il giovane porta sempre con sé. Il manager ottiene dal padre, non senza fatica, che Mickey faccia un provino con i Rats, nonostante il ragazzo sia affetto dalla sindrome di Asperger, una forma di autismo non grave in cui chi ne è colpito tende a isolarsi e ad essere ripetitivo nei comportamenti. Come nelle più classiche storie a lieto fine, Mickey porterà la sua squadra alle finali, nonostante il tentativo di un suo compagno ‒ “Lefty”, lanciatore titolare ‒ che si era visto spodestato, di impedirgli di giocare, facendolo pestare violentemente da alcuni suoi compari durante una festa. L’abilità del manager e la comprensione dei compagni di squadra ottengono il vero risultato: la possibilità di superare situazioni che altrimenti avrebbero portato all’aggravarsi della malattia.

Guardando un po’ in giro, ho visto che il romanzo di Frank Nappi ha dei riscontri reali. Il più recente è quello di Tarik El-Abour, il primo giocatore diagnosticato come affetto di autismo, cui l’organizzazione dei Kansas City Royal ha offerto un contratto per le leghe minori. Ce n’è stato un altro ancor più significativo e importante. A Jim Eisenreich, mentre giocava per i Twins, gli fu diagnosticata la sindrome di Tourette, per cui si ritirò dal 1984 al 1987; il suo posto venne preso da Kirby Puckett. Tornato in campo e passato ai Marlins, Eisenreich ebbe un ruolo centrale nella vittoria contro gli Indians, trovandosi in seconda quando, all’undicesimo inning della settima partita, Edgar Renteria ha realizzato la valida decisiva. Non c’è solo l’autismo fra i numerosi problemi che tante volte facciamo finta di non vedere e che soprattutto sottovalutiamo. Fortunatamente c’è chi le affronta: i Paralimpcs ne sono l’esempio più evidente. Negli Stati Uniti, non molti anni fa, è stata creata la Miracle League, una organizzazione che accoglie ragazzi e giovani dai 5 ai 25 anni di età, su appositi campi, dove si cerca di far giocare a baseball. Il primo impianto è stato realizzato nel 2000, a Conyers (Georgia). Si tratta di partite in cui nessuno vince, nessuno perde: tutti devono trovare divertimento. Scorrendo le immagini, ci si rende conto di quanti siano impegnati con persone che sono in carrozzina, cui mancano gambe e braccia, sono affette dalla sindrome di Down o da altre malattie. George Baskerville, un project manager della Wells Fargo Advisors, è diventato uno dei più appassionati volontari di questa organizzazione a Richmond, spinto dalla volontà di aiutare il figlio Geoffrey. I miglioramenti, dopo oltre dieci anni di impegno sono evidenti non solo per Geoffrey, poiché le adesioni sono quasi triplicate. Ci sono voluti centinaia di sabati e migliaia di ore di lavoro per questa operazione di successo. Non ha caso, nella settimana della All Star Game, a Cleveland, una rappresentanza della Miracle League giocherà proprio al Progressive Field: con loro, fra gli altri, saranno Dwight Gooden e Francisco Lindor. Tutto questo mi ha riportato alla mente quanto accadutomi qualche anno fa. In un periodo in cui stavo dando una mano per insegnare a piccolissimi giocatori, mi fu chiesto se potevo far qualcosa per un ragazzo effetto da autismo: accettai, senza sapere a cosa sarei andato incontro. Si trattava di un dodicenne, dal fisico sviluppato e dalla forza notevole. Con l’aiuto della sua assistente e della madre, cercai di capire cosa e come potere attrarre la sua attenzione, fargli fare qualcosa. Praticamente non parlava; emetteva solo dei suoni acuti. Cercai di farlo correre, prendere qualche palla, sventolare la mazza… Nei rari momenti in cui seguiva quanto gli mostravo, evidenziava una certa abilità. Si trattava però di attimi. Dopo qualche incontro, mi arresi, ma ancora oggi mi sento un po’ in colpa verso quella madre eccezionale dal carattere estremamente forte e positivo che non ero riuscito ad aiutare. Intorno abbiamo tanti che hanno bisogno e che magari non chiedono il nostro aiuto perché si vergognano di farlo. Ma noi del baseball dovremmo essere una famiglia sempre più accogliente, in un certo senso diversa perché capace di aprire le braccia a tutti, a persone che devono vivere tra persone. Certo siamo in pochi, ma le risorse ‒ e chi lavora nelle aziende questo se lo sente ripetere fino alla noia ‒ non sono mai sufficienti e potrebbero anche ridursi, per cui “bisogna far di più con meno”. Cerchiamo dunque di fare un passettino in più e mostrare quanto la nostra squadra possa essere vincente, ripetendo quotidianamente il nostro fattivo impegno. Reggie Sanders, che ha trascorso quarant’anni nel baseball e ha un fratello affetto da autismo ha detto: “La ripetitività del baseball e quella che comporta l’autismo vanno a braccetto”. Ancor di più credo siano importanti le parole della madre di Tarik: “Non scendete a compromessi per quanto riguarda la fiducia e la capacità di apprendimento dei vostri figli. Più date loro fiducia, maggiore sarà la loro fiducia in se stessi. Abbiate fede e Dio troverà il modo per guidarvi”.

Giuliano Masola, 7 luglio 2019.