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Arbitri alla carbonara

di Giuliano Masola. Fra un esame e l’altro, per circa un anno e mezzo ho fatto un po’ di consulenza in una scuola internazionale di alta cucina e ho avuto l’onore di trovarmi fra i più grandi chef. Ho dovuto però fare salti mortali per reperire migliaia di ingredienti e far comprendere che dietro quei piatti raffinati, talvolta con foglie d’oro, c’erano altissimi costi. Di cucina vera e propria non ho imparato quasi nulla e faccio ancora fatica a usare le posate in modo corretto: meglio lasciare ai maestri il compito di far brillare gli occhi, oltre che di soddisfare il gusto. In una cucina l’organizzazione è militaresca: non per nulla i componenti costituiscono una brigata. La parola dello chef non può essere messa in discussione e le mansioni sono suddivise per specifiche competenze e grado di difficoltà. Per la riuscita di un piatto, in particolare di “haute cuisine”, materie prime, manualità e inventiva sono fondamentali. Per diventare veramente bravi servono anni di duro lavoro e preparazione, poiché la concorrenza è sempre più agguerrita e i clienti sono certamente più attenti e maggiormente consapevoli di un tempo. Come nel baseball, anche i più dotati devono lavorare duro, con pazienza e umiltà. Prendendo spunto da ciò, con un amico che per ragioni professionali frequenta ristoranti di alto livello per cui deve mantenere l’anonimato, si è pensato a un primo piatto, legato al nostro gioco: gli “arbitri alla carbonara”. Si tratta di piatto ricercato e di non facile fattura, la cui ricetta può essere soltanto accennata, per non perdere il vantaggio competitivo. Occorrono ingredienti particolarissimi e di altissima qualità, il cui reperimento è veramente difficile. Bisogna andare in giro, chiedere, convincere, provare, e così via. Una volta, che si pensa di aver trovato le materie prime adatte, bisogna dosarle in modo accurato e nei giusti tempi. Sappiamo quanto nella classica carbonara la fase finale sia la più critica, quella che fa la differenza: basta un attimo per passare dalla delicatezza dei chicchi di ben pasta cotti e amalgamati a una specie di pastone informe. Anche il modo di gustare questo primo incide sul giudizio complessivo. Una serie di frettolose forchettate vanifica un lavoro che coinvolge diverse attività, soprattutto attento al cliente. Per tanto tempo la carbonara è stata considerata poco più del cibo di chi si trovava a mangiare insieme alla pasta, all’uovo e al cacio, la fuliggine delle carbonaie, mascherata dal pepe nero. Fare solo una volta gli “arbitri alla carbonara” non basta, poiché occorre migliorare continuamente, tenendo conto del cambiamento dei gusti, anche per ricercare sempre più qualità e prelibatezza. Poiché il segreto del successo nel tempo sta nel mantenere le caratteristiche organolettiche dei componenti, è più che da raccomandare la presenza di uno chef di esperienza e capacità di innovazione, che sappia però governare anche le stoviglie in cucina, quando occorre. Senza piatti e posate, servire e mangiare la carbonara diventa un po’ difficile, per cui occorre pensare anche agli strumenti adatti. Possiamo cambiare ristorante ‒ diamante, se vogliamo ‒ ma senza la certezza di trovare uno chef migliore. Ciò non significa nemmeno fermarsi sempre al solito posto, in una situazione di eterna immobilità e pesantezza, dove sentiamo raccontare storie ormai ritrite. Ogni chef impone un proprio codice di comportamento e anche di abbigliamento, pur nell’abito di regole e tradizioni (da cui lo scherzoso detto, “più alto il cappello, più piccolo il cervello”). Pur avendo poteri indiscussi, però, sta attento a calibrare giudizi positivi e negativi, poiché, se è veramente bravo, sa riconoscere un pregio anche in ciò che è apparentemente un difetto. Specialmente ad alto livello, fra gli chef i rapporti sono raramente idilliaci, su ogni ricetta, su ogni presentazione di una portata, ognuno dice la sua e ciò, se da una parte è indice di rivalità, dall’altra è stimolante, poiché spinge a esplorare anche nuove soluzioni. In questo momento diventa, a mio parere, molto difficile trovare un buon posto per gustare gli “arbitri alla carbonara”: non andrei nelle osterie “di una volta” (spesso una penosa mascherata), così come lascerei da parte costosissimi ristoranti, per quanto attraenti. Come sosteneva Aristotele (che alcuni studiosi ritengono un proto-democristiano), meglio il giusto mezzo, combinando cultura, tradizione, studio e innovazione. Per fare un esempio, cosa possiamo proporre a chi si presenterà ai prossimi corsi per arbitri (ammesso che qualcuno ci sia)? “Partiamo dal regolamento…” e bla, bla, bla. Siamo però in grado di dare una visione diversa? Ad esempio, possiamo dire che cosa è, chi è davvero, un arbitro oggi, visto che ci si muove in un contesto in cui l’autorità è messa più che mai in discussione? Sappiamo definire cosa è l’autorevolezza? Possiamo dare dei suggerimenti sul modo di presentarsi e comportarsi? Tutte domande che si pongono anche all’interno dell’organizzazione. Forse vale la pena di rifletterci, poiché per la prossima carbonara potremmo non trovare gli ingredienti principali: gli arbitri. Un piatto gustoso merita di essere accompagnato da vino generoso, magari un Lacryma Christi. Un buon bicchiere aiuta sempre, anche perché può capitare di trovarsi soli a cena dopo una giornata storta, una di quelle in cui non guardi neanche il piatto e rimugini sui tuoi sbagli o sui comportamenti di chi ti ha offeso; una di quelle in cui nulla pare avere sapore e ti alzi da tavola, senza neppur aver portato una forchettata alla bocca. Sia che tu abbia mangiato troppo o non mangiato affatto, puoi sentirti con lo stomaco sconvolto e, a quel punto può tornarti in mente una vecchia canzoncina “Con un poco di zucchero e la pillola va giù/ La pillola va giù… anche se talvolta è difficile da ingoiare. Forse, più che prendere una pillola, dovremmo seguire il consiglio di Satchel Page: “Quando la pancia è in subbuglio, stenditi e tranquillizzala con dei bei pensieri”. Pensare, soprattutto in positivo, fa sempre bene.

 

Giuliano Masola, Cannitello, 11 luglio 2018.