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Una questione di posta

Di Giuliano Masola. In queste settimane, ancor più in questi ultimi giorni dell’anno. Sempre di più carta penna e calamaio sono lasciati a riposo: meglio internet. Non c’è da stupirsi, anche perché lo scrivere manualmente sempre meno causa una grafia in rapido peggioramento. È così anche per me. Fine anno è anche tempo di consuntivi, per cui oltre gli auguri e i saluti si scrive qualcosa d’altro, magari ricordando qualche cosa che si è provato a fare e che si spera di realizzare. Nei giorni scorsi ho mandato loro qualche riga; nulla di trascendentale: si cerca di far qualcosa, di mantenere viva una fiammella che pare sempre tenue, sfidando il tempo. Ho scritto e-mail, ma ho “dovuto” anche inviare quanto scritto attraverso quello che un tempo era la posta ordinaria. Dopo pochi giorni mi è giunta la risposta di uno dei “miei” ragazzi: “Come preambolo, voglio dirti, che per il periodo, mi ha fatto particolarmente piacere ricevere una lettera con la busta scritta a mano e il francobollo. Ricevo solo fatture con la finestrella e senza francobollo…”. Può sembrare una ovvietà, ma credo che in due righe ci siano tante cose che fanno meditare. In effetti, nella cassetta postale troviamo fatture, pubblicità, e anche contravvenzioni, per cui, quando ci arriva l’avviso di andare a ritirare qualcosa presso l’apposito ufficio, siamo presi da un po’ di ansia. Non è solo una questione di servizi postali, poiché è il rapporto umano a essere messo in crisi. Parliamo sempre meno di cose serie, e scriviamo sempre più banalità, se non pericolose sciocchezze. In compenso, ci confrontiamo sempre meno. Ciò mi pare valga in particolare per il baseball, in cui la tecnologia riduce progressivamente la possibilità del colloquio. Si scrive, ma non ci si vede (anche Skype è bene tenerlo disattivato, non si sa mai che traspari qualcosa dal nostro volto…). Si risparmiano busta e francobolli, con la quasi certezza di non avere risposta o di averne di stonate. Mi sono sentito messo un po’ strike out da quanto ricevuto da quel caro amico: in parole povere, mi invitava a usare carta e penna, in un campo sul quale incontrarci più da vicino. Nel baseball moderno, potenza e velocità sono in continuo incremento: strikeout e fuoricampo aumentano di numero progressivamente; il giusto mezzo di qualche filosofo pare non essere più in voga: o la va o la spacca! Eppure, non tutti sono fuoricampisti, o principi del monte di lancio, ma quelli che lo sono, sono “giocatori da soldi”, anche se talvolta i momenti di gloria restano effimeri. Chi segue una partita di baseball ad alto livello, vede quanti registri di appunti, quanti foglietti e simili vengono consultati per prendere decisioni. Non si tratta di e-mail; anche se sono il risultato di elaborazioni col computer, c’è un cervello che li valorizza, e una mano che rapidamente annota e corregge. Carta, buste e francobolli possono dirci tante cose, ad esempio darci una idea del tempo, della durevolezza dei rapporti, soprattutto se si è distanti. Una cosa che Oltreoceano è  in auge da tanto tempo è il mantenimento di un assiduo contatto con gli “alumni”, cioè con coloro che hanno frequentato college, università, corsi di formazione e simili. Da noi questo mezzo per mantenere contatti e trovare risorse si sta lentamente sviluppando. Forse dovremmo pensare di accelerare e puntare anche un po’ su questo mezzo. Ciò non significa solo scrivere, poiché, per quanto possibile, è sempre molto più proficuo vedersi di persona. Personalmente, sono sempre un po’ prevenuto sugli incontri istituzionali: preferisco trovare un argomento, un  punto che può essere di comune interessante e cercare un gruppo di persone con discuterne dal vivo. Ai “ricchi premi e cotillon” come si usava dire, preferisco un po’ di carta e penna per prendere appunti e note da sistemare e da studiare. Oggi con un buon cellulare si può fare quasi di tutto, ma anche se lo si porta in tasca, quando si è in battuta, non è d’aiuto nel giudicare il lancio prima che gli stia per giungere. Certamente la tecnologia è importante, indispensabile ormai, ma non basta a risolvere i numerosi problemi che abbiamo davanti, per i quali servono menti e mani intelligenti e una sempre maggiore disponibilità. Quando scriviamo, speriamo di avere una risposta, la certezza di avere qualcuno che ci legge, e magari ha anche la voglia di ascoltarci. Poche parole sono in grado di rievocare immagini, fatti che si ritenevano perduti nel tempo. “Ragazze vincenti”, un film di Penny Marshall del 1992, rievoca un fatto realmente accaduto nel 1943, quando le donne, nel baseball, hanno sostituito i giocatori partiti per la guerra. Il colloquio iniziale fra Dottie Hinson Keller e la figlia Margaret mi pare emblematico. Dottie è indecisa se andare o meno a un raduno delle giocatrici di tanti anni prima. Nel fare la valigia, ritrova il vecchio guanto da catcher. “Ti potrebbe servire”, dice la figlia. “Dove l’hai trovato?”, chiede la madre. “Era in uno di quei cartoni arrivati dopo…”. “Io non ci vado”, “Sarebbe ora che ti levassi ad questa vecchia stanza. E poi ci sono le tue vecchie amiche…” “Non si ricorderanno più di me…”. Ma non è così: La “regina” andrà e riabbraccerà, la sorella Kit, che ha avuto come avversaria nell’ultima decisiva partita e che non vede da tanto tempo.

Scriviamo, restiamo in contatto, vediamoci e, se anche la risposte non sono quelle che desidereremmo, credo che il solo fatto di riceverle possa darci nuovi stimoli, nuovi motivi per fare qualcosa. “… Io non posso esserti di aiuto, sono lontano e i miei ricordi del baseball altrettanto”. Così si conclude quella lettera che ci dice in realtà quanto siamo vicini, al di là della distanza geografica. Perché il baseball, come la vita che conta, è fatto così.

 

Giuliano Masola, S. Stefano 2017