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Legittima difesa?

di Giuliano Masola. Che un arbitro sia soggetto a contumelie e vituperi, in pratica urlacci e lamentele di ogni tipo, è una cosa che abbiamo imparato a considerare nella “normalità. Talvolta si arriva a vie di fatto, con conseguenze anche sul piano fisico; per fortuna questo non capita spesso. Si tratta di situazioni che comportano un duplice problema: da una parte, educazione e sportività, dall’altro la difficoltà di avere arbitri in numero sufficiente: molti infatti non si presentano ai corsi proprio per questo aspetto. Una delle regole cui un arbitro deve attenersi è quella di non avere contatti fisici, particolarmente in caso di controversie. In effetti, normalmente vediamo arbitro e manager muso contro muso, petto contro petto, ma nessuno dei due usa le mani, salvo alla fine quando, normalmente, viene decretata l’espulsione di chi è andato a lamentarsi con troppa foga.  Il “replay”, nelle Majopr League, permette di rivedere tante decisioni, ma non quella relativa a strike o ball. Certe volte capita che l’arbitro, alla fine di una discussione accesa, o al tentativo di aggressione, si ribelli e cerchi di difendersi. Gli arbitri, per quanto bravi e preparati a tutto, restano uomini: che si tratti di professionisti, o di appassionati non fa molta differenza. Ci sono delle giornate in cui tutto va liscio, altri in cui, dalla prima decisione in poi, tutto diventa in salita; ci si dovrebbe dimenticare subito di uno sbaglio e badare al prosieguo della gara, ma non è facile poiché qualcosa resta dentro. Arbitrare bene, paradossalmente, è più difficile con le squadre e i giocatori che si conoscono praticamente da sempre. Conoscersi e rispettarsi sono due cose non esattamente uguali. Finché tutto fila liscio e il risultato evidenzia la differenza dei valori in campo, tutto ok, ma se per qualche motivo poi tutto cambia, la situazione si complica: ogni decisione diventa critica e foriera di reazioni. Mantenere la calma, non è facile; in particolare quando si è soli, ci si sente quasi disarmati, anche perché occorre costantemente valutare il da farsi: l’espulsione può aumentare, anziché far calare la tensione. L’esperienza aiuta fino a un certo punto. Joe West, recentemente passato alla cronaca per aver arbitrato 5000 partite (c’è arrivato prima il Friggio…), proprio recentemente ha avuto tre giornate di sospensione per aver pubblicamente dichiarato che il terzabase dei Rangers Adrian Beltre, che ha sua volta ha superato le 3000 valide, è il più grande “lamentone” delle MMLL: Beltre andava dicendo che qualsiasi lancio su di lui West lo avrebbe chiamato strike. L’arbitro in questione aveva replicato: “Eh? L’ho arbitrato recentemente e gli ho chiamato strike un lancio in mezzo al piatto. Lui ha detto che era fuori”. Ho replicato: “Tu sei un grandissimo giocatore, ma sei anche il peggior arbitro della Lega”. Tanto basta per essere messo temporaneamente a riposo, anche se Adrian Beltre era rimasto sorpreso e contrariato alla decisione, sostenendo che entrambi stavano scherzando. Purtroppo, secondo i responsabili del settore arbitrale, poiché ciò era avvenuto in modo eclatante. Altri arbitri, in passato si sono trovato al centro di dispute, come Ron Luciano, famoso per le sue chiamate e per il numero altissimo di espulsioni, nonché autore di alcuni libri legati al mondo degli arbitri. Ad esempio, l’insofferenza fra Luciano ed Earl Weaver, manager degli Orioles, giunse al punto che questi arrivò ad autoespellersi prima dell’inizio della partita. Casi di contatto vero e proprio ce ne sono. Nel 2002 Ed Rapuano nvenne ai ferri corti con Bobby Valentine, dei New York Mets, durante uno scambio di vedute; ammise il contatto, ma i responsabili alla fine lo ritennero accidentale. Alcuni di coloro che seguono i nostri campionati ricorderanno, ad esempio, il colpo di judo inferto da Cutaia a Paschetto, la più grande “rasa” del campionato degli anni Settanta, che stava tentando di aggredirlo. Sappiamo tutti che certe cose non si devono fare, che è diseducativo, che così facendo si perde dignità e credibiltà, ma “occorre esserci dentro”. Certamente nessuno esce vincitore, anzi si è tutti sconfitti. La mancanza di conoscenza  e la capacità di applicare le regole, quelle comportamentali in primis, è foriera di rischi. Se il più delle volte, il comportamento antisportivo, si traduce in qualche frase stupida, anche offensiva, da qualcuno delle tribune, si può anche fingere di aver sentito (ci si può anche veder poco e male, ma garantisco che si sente molto di più di ciò che si vorrebbe), ma ci sono dei limiti. Purtroppo, anche a me recentemente sono capitate situazioni non facili da gestire, trattandosi di partite di giovani; ogni volta ho dovuto operare una scelta in tempi strettissimi, prima che la partita mi sfuggisse di mano. Qualcun altro ha reagito voltandosi contro il pubblico e dicendo esattamente cosa pensava a fronte delle continue ingiurie; gravissimo errore, ma non dobbiamo meravigliarci più di tanto. Un arbitro, come prende possesso del campo, è responsabile praticamente di tutto quanto accade: può dare spiegazioni, può ammonire, espellere, ma non può andare oltre. Se ci va paga. Aver arbitrato migliaia di partite non è sufficiente. Gli errori comportamentali sono sempre possibili. In un mondo come il nostro, dove il numero delle partite è molto elevato e concentrato in pochi mesi, stanchezza e tensione possono costituire un cocktail esplosivo. Come sempre, occorre avere umiltà, cioè la capacità di ammettere i propri sbagli, ma non fare sì che un momento di crisi si traduca in discesa senza freni. Come disse Angelo Bartlett Giamatti, commissione delle major League: “L’arbitro dovrebbe avere l’integrità di un giudice della Corte Suprema, lagilità di un acrobata, la pazienza di Giobbe e l’imperturbabilità di un Buddha”. Magari…

 

Giuliano Masola, 17 settembre 2017