di Giuliano Masola. Qualche settimana fa, gironzolavo dietro la recinzione del campo per ragazzi di Collecchio. Fra l’erba appena falciata ho visto una pallina, per più di metà scucita e con la pelle rinsecchita; una di quelle che tanti anni prima sarebbe stata subito recuperata e amorosamente rimessa in campo almeno per gli allenamenti. L’ho fotografata, lasciandola però al suo posto, quasi fosse un reperto archeologico. Quando afferri una pallina e la guardi, qualche riflessione ti viene sempre da fare. L’estate, oltre che del baseball, è il tempo delle divagazioni, quello dei cruciverba e dei meriggi in cui domina il torpore. La mente corre e vola qua e là, come una farfalla indecisa. È anche un buon momento per leggere. Uno degli scrittori che mi permetto di suggerire è Don De Lillo, nato nel 1936 da una famiglia di emigranti molisani. Come tanti altri scrittori del secolo scorso ‒ e giocatori del calibro di Joe Di Maggio ‒ ha dimostrato quanto un figlio di immigrati finisca per incarnare il sogno americano. Probabilmente il suo miglior libro, pubblicato in Italia nel 1999, è “Underworld”, letteralmente il mondo che sta sotto, che non si vede. Il titolo richiama “I sotterranei”, pubblicato nel 1958, di una delle icone della beat generation: John Kerouc. La storia narrata da De Lillo prende mosse da un fatto noto a tutti i cultori del baseball. Il 3 ottobre 1951, un ragazzino di colore riesce a entrare di nascosto al Polo Grounds, mentre in cui i New York Giants (ora a San Francisco) giocano contro i Brooklyn Dodgers (ora a Los Angeles). Nel nono inning, Bobby Thomson, battitore destinato a passare alla storia, realizza un memorabile fuoricampo ‒ “the shot heard round the world” ‒, dando la vittoria ai Giants, che vincendo per 5 a 4, conquistano così il campionato. In realtà nessuno sa che fine abbia fatto la pallina colpita da Thomson, ma nel romanzo un ragazzino di colore, entrato di nascosto allo stadio, riesce a impadronirsi del prezioso cimelio. Purtroppo, non potrà tenerlo per sé, poiché gli verrà sottratto dal padre, per venderlo a poco più di 32$. «La palla non portava né fortuna né sfortuna. Era un oggetto che passava di mano. Ma spingeva la gente a raccontargli cose, confidargli segreti di famiglia e storie personali inconfessabili, a singhiozzare di cuore sulla sua spalla.
Leggi tutto “Una vecchia pallina”