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Il baseball al tempo del “corona”

di Giuliano Masola. “L’amore ai tempi del colera” è il primo romanzo del premio Nobel di Gabriel Garcia Màrquez (lo stesso autore di “Cent’anni di solitudine”). Pubblicato per la prima volta nel 1985 narra la storia di un amore che non avrà coronamento prima di “cinquantatré anni, sette mesi e undici giorni, notti comprese”, tempo intercorso tra la rottura del fidanzamento e il successivo incontro che Fermina Daza e Florentino Ariza. Il compimento del loro amore avviene durante la crociera su un battello che risale il fiume Magdalena, lungo un itinerario che Florentino aveva percorso mezzo secolo prima. Ma adesso la foresta pluviale è disboscata, gli animali sterminati dai cacciatori, i villaggi infestati dal colera. Màrquez in questa vicenda ripercorre una esperienza famigliare e nella sua sensibilità letteraria riesce a far cogliere quanto la bellezza, i sentimenti e l’opera dell’uomo, troppo spesso incurante del prossimo e della Natura, si trovano a convivere. Lo scrittore colombiano vive a Las Cartagena de Indias, dove ha modo di coltivare le sue grandi passioni: il whisky di alta qualità, il baseball, il ballo e la diplomazia segreta.

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“Cinquantesimo” rinviato

di Giuliano Masola. Dobbiamo arrenderci all’evidenza, per cui siamo costretti con grande dispiacere a rinviare il nostro Cinquantesimo: le disposizioni a livello nazionale e locale cui va aggiunto un ancor maggiore senso civico, ce lo impongono. Al momento non abbiamo ancora una data; sarà l’evolversi della situazione a suggerirlo. Un elemento imprescindibile è il calendario dei vari campionati. Considerandone la partenza il 17 aprile e tenendo conto dei recuperi (l’esperienza del 2019 lo insegna) credo che si andrà fino alla fine di giugno. Oltre a ciò, occorre rendersi conto che, superata l’attuale criticità, tutti vorranno in qualche modo evadere, andarsene in vacanza per dimenticare. In questo modo, si potrebbe andare ai primi di settembre. Si tratta di supposizioni, naturalmente. In un momento come questo, se si pensa al “bicchiere mezzo pieno” potremmo pensare a un record, o almeno una prima volta. Cento anni fa, al tempo della “spagnola” in Italia non c’era ancora un campionato di baseball o softball per cui i problema era automaticamente superato (all’epoca in Francia e Spagna era chiamata “febbre di Parma”, tanto per stare in compagnia). Fasciarci la testa non ci aiuta. Sempre nel segno della positività, possiamo il tempo maggiore disponibile per l’organizzazione per raccogliere altro materiale, soprattutto per ampliare i contatti, tira fuori nuove idee. Normalmente ai momenti di grande crisi succedono periodi ancor maggiore sviluppo e ciò ci deve aiutare a credere sempre in più nella bontà dei nostri sforzi. Resta l’obiettivo, una meta da raggiungere con la maggior forza d’animo possibile. Attraverso Tuttobaseball vi terremo informati, con l’augurio di vedere comunque il sorriso sulle vostre labbra.

ps. Ieri era la Festa della Donna, AUGURI! Anche se in ritardo.

Giuliano Masola, 9 marzo 2020.

Manager, che vuol dire?

di Giuliano Masola.

Le maniche sono rimboccate: non c’è più tempo da perdere. Gli staff tecnici sono già al lavoro, ognuno per le parti di competenza. Certo, dove il batti&corri è appena nato o sta per nascere una persona sola fa tutto, un po’ di confusione compresa. Penso che diversi abbiano avuto questa esperienza, si siano resi conto a posteriori che solo un grande entusiasmo ha potuto far fronte a un compito tanto arduo. Nel 1992 apparve Campione per forza (Mr. Baseball), un film in cui Tom Selleck faceva esperienza con lo Yakyū, il baseball del Sol Levante, con i Chunichi Dragons, la cui divisa ricorda tantissimo quella dei Dodgers. Elliot, questo è il nome del giocatore, non si rende conto di quanto sia diverso il mondo in cui viene a trovarsi; da ciò deriva un comportamento altezzoso, perfino sprezzante. Il suo rendimento è al di sotto delle attese e la squadra, già debole, sprofonda. I suoi rapporti col manager restano costantemente tesi e il suo interprete fa dei salti mortali per evitare il peggio, cambiando letteralmente le risposte maleducate del campione yankee, non sapendo che l’inglese è ben compreso da chi conduce la squadra. Perfino i rapporti con un altro americano in squadra con lui arrivano a incrinarsi. A differenza delle tragedie, dove le cose iniziano bene e finiscono male, nelle commedie alla fine tutto si risolve: Elliot si innamora di Hiroko, che fa fede al proprio nome, “la tua venuta è benedetta”.

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La lezione di Moby Dick

di Giuliano Masola. Immagino che molti conoscano la storia della spietata lotta fra l’enorme capodoglio bianco e il capitano Achab. Probabilmente, il libro di Herman Melville, edito nel 1851, è uno dei più belli mai scritti; lo si legge ad ogni età e si presta a tante interpretazioni. Probabilmente, come tanti altri, non entra più a far parte del bagaglio culturale necessario alla formazione dei giovani: a che serve misurarsi con le forze della natura con un solo arpione? meglio i cannoncini coi dardi esplosivi: si fa prima e non si rischia. Alla caccia di Moby Dick c’è una squadra eterogenea, a prima vista, ma ben adatta allo scopo. Achab, un manager di quelli proprio tosti, non guarda tanto per il sottile i suoi, ma è tutto proteso all’obiettivo: una ultima e decisiva partita. Nel libro i riferimenti alla Bibbia sono numerosi, offrendo una chiave interpretativa tutta particolare. Non a caso, Melville, battezza il comandante della baleniera ‒ un nativo di Nantucket, piccola isola del Massachussets ‒ col nome di un re di Israele, noto per aver abbandonato la fede ebraica e aver perseguitato il profeta Elia; la sua fine è stata tragica. Chi fa memoria della incredibile caccia è Ismaele, che prende il nome un personaggio citato sia nella Bibbia che nel Corano: è “colui” che ascolta o “il traduttore”: un nome un programma, si potrebbe dire. I collaboratori del manager, in questa singolare squadra, sono Starbuck e Stubs, rispettivamente primo e secondo ufficiale, o se preferite il pitching e il batting coach. Incredibile a dirsi ancora oggi un certo Greg Starbuck è un allenatore degli interni nella organizzazione dei Tigers, proseguendo una attività più che ventennale; con una esperienza da vendere, quindi. Nel romanzo, Starbuck è «l’uomo più cauto che si possa trovare nella baleneria», prudente ma non codardo, è uno dei più riluttanti ad assecondare Achab; non si ribella, ma in qualche modo cerca di far comprendere al comandante l’insensatezza del suo piano. A chi ha un po’ di memoria, invece, Stubb fa tornare alla mente il 1982, anno in cui Mike Stubbins vinse lo scudetto durante quella che si potrebbe definire l’era Parmalat del baseball parmense: un successo dietro l’altro. Chi ha avuto modo di conoscerlo ha avuto la possibilità di vedere un vero professionista all’opera, sulle orme che Chet Morgan aveva lasciato oltre un decennio prima. Se non ricordo male, la sua teoria era quella di battere la palla il più lontano possibile, per mettere costantemente in crisi la difesa e permettere ai corridori di avanzare una base in più. Ma proseguiamo nella disamina del nostro lineup baleniero. C’è Flask, terzo ufficiale, uno di quelli che fa da suggeritore: il mare, come il lavoro, non lo entusiasmano tanto, ma bisogna pur campare. Queequeg, un gigante nativo di un’isola della Polinesia, è primo baleniere. È un personaggio di non molte parole, ma dà sicurezza tutti: i suoi arpioni sono lanciati in modo potente non lasciano scampo e sa rischiare anche la propria pelle per salvare chi è in difficoltà: uno slugger, uno di quelli che può ricordare Cotton e Roman. Tashtego è il secondo ramponiere, un forte e risoluto guerriero indiano; l’abilità dei nativi americani era famosa anche fra i cacciatori dei balene. Una curiosa assonanza. Un mese fa i Devil Rays di Tampa, per aumentare la capacità offensiva hanno acquisito Yoshitomo Tsutsugo, interno/esterno giapponese di tutto rispetto: nel campionato nipponico ha realizzato 205 fuoricampo, battendo a casa 613 punti. C’è pure Daggoo, terzo ramponiere, un gigantesco negro dell’Africa, che però non è uno schiavo: la sua è una scelta libera, così come può essere libero il giro di mazza di un quinto in battuta. Un personaggio particolare è Pip, un giovane e piccolo nero, schiavo latitante, nonché marinaio goffo e stralunato; ogni volta che va a caccia cade in mare, finendo quasi pazzo: uno di quelli che fai fatica a mettere in squadra, ma che talvolta sei costretto a utilizzare. Fedallah è un asiatico misterioso, molto vicino al comandante Achab. La sua mente tende ad andare oltre, a vedere lontano, e gli prevedere la brutta fine per lui e li suo comandante. Il cuoco di bordo si chiama Lana Caprina: uno che conosce tutte le ricette possibili per cucinare pinne di balena; prende ragioni balorde da tutti, ma di lui non si può fare a meno. Il comandante Achab, dopo un lunghissimo inseguimento attacca Moby Dick con la sua squadra, ma nel suo sconsiderato tentativo trova la morte, mentre il gigantesco capodoglio bianco, con tanti arpioni che lo adornano come stelle al merito, prosegue la sua corsa nell’oceano. Vi chiederete: e allora, che c’importa? Beh, penso che tante volte ci siamo sentiti come Achab, attaccando a testa bassa, sottovalutando l’avversario e lasciando da parte il cervello. È proprio qui dove si annida la sconfitta: nella perdita della ragione (quante volta ci capita di vederlo ogni giorno!). Achab, travolto da un incontenibile desiderio di vendetta, porta alla rovina quasi tutto l’equipaggio, mentre Ismaele si salva miracolosamente, riuscendo così a tramandarci una drammatica lezione di vita. E il diamante a ben pensarci non è da meno, anche se i termini dello scontro con sono così violenti e crudeli. Si tratta di una sfida in cui la capacità mentale e la forza fisica devono continuamente trovare il giusto mix. Come diceva Yogi Berra: per il 90% è una questione di testa, per il 50 % di fisico. La somma la lascio fare a voi.

Giuliano Masola, 19 gennaio 2020.

Berliner tips

di Giuliano Masola. Talvolta capita di farsi quasi 1200 km per andare in una grande città e non vederla. Così è capitato a Berlino, dove lavori legati al trasloco di mio figlio hanno comportato una quarantotto ore di non stop. Tutti piccoli ma indispensabili lavori di adattamento nella ricerca di soluzioni tali da rendere il più confortevole possibile un piccolo appartamento. In una casa dove si  “batti&corri”, fra trapano, martello e seghetto, parlare di baseball e softball ha aiutato a rendere più simpatico il tutto. Fra l’altro, il discorso è finito su un berlinese in Major League: Maximilian Kepler-Różycki, che ha debuttato nei Twins nel 2015. La sua è una storia tipica della parte della Germania proiettata a Oriente e soprattutto di una città che continua ad accogliere praticamente tutti. È nato a Berlino il 10 febbraio del 1993; la madre di Max, Kathy Kepler è di S. Antonio (Texas), mentre il padre Marek Różycki è polacco; entrambi sono ballerini professionisti. A sei anni Maximilian era destinato a diventare un giocatore di tennis, frequentando la scuola “Steffi Graf”; poi un giocatore di pallone con l’Herta, ma alla fine ha scelto il baseball, giocando nella Little League della scuola John F. Kennedy di Berlino. Fin dall’inizio ha mostrato talento e dedizione, finendo coi Buchbinder Legionäre di Regensburg (la “città della pioggia”, l’antica Ratisbona). I Legionäre (Buchbinder è il nome dello sponsor: un’azienda di autonoleggio, nonostante il nome ‒ “rilegatore di libri”‒ rappresentano una delle più prestigiose formazioni tedesche (hanno vinto cinque titoli nazionali) è hanno un ottimo complesso sportivo, per cui farvi parte è importante. La vicenda che avrebbe portato Kepler alla Major League iniziò quando questo aveva quattordici anni: Andy Johnson, uno scout internazionale dei Twins lo notò a un torneo internazionale e un paio d’anni più tardi Kepler firmò un contratto di 800mila$, la cifra più alta mai offerta a un giocatore nato in Europa all’epoca. Certo, a sedici anni non si può pretendere di far parte dello Show: occorre imparare, Così Max ha dovuto seguire il percorso che da campionati di livello “rookie” lo avrebbe portato a rappresentare i Twins nella Future All Star Game del 2015, nonostante un dolore alla spalla gli impedisse di giocare. Nello stesso 2015 fu nominato Giocatore dell’Anno della Southern League con una media battuta di .327, 9 fuoricampo e 18 basi rubate; il 27 settembre debuttò coi Minnesota Twins e il 4 ottobre realizzò la sua prima valida da professionista. Dopo Donald Lutz (che ha debuttato nei Cincinnati Reds nel 2013), Kemp è il secondo giocatore nato in Germania a giocare in Major League in tempi recenti. Nel 2016, dopo alcune sporadiche apparizioni, Kepler ha occupato stabilmente il suo ruolo di esterno. Il 1° agosto divenne il primo giocatore nato in Europa a battere 3 fuoricampo in una partita (il 5° nella storia dei Twins) contro gli Indians. Max Kepler è un giocatore dalle elevate prestazioni: nella settimana del 26 maggio 2019 è stato nominato Giocatore della Settimana; a fine stagione la sua media battuta è stata di .252, l’andata in base di .336 e la media bombardieri di .519 Nonostante il Minnesota sia un paese accogliente (il 39% degli abitanti dichiara di avere origini tedesche e il 32 % scandinave) Maximilian è legato a Berlino, agli amici e compagni con cui ha giocato; così lo scorso novembre, in occasione di Tour europeo di propaganda è stato accolto con grandi feste nella città natale. In Germania il baseball non è lo sport nazionale, ma ciò non significa mancanza di un buon livello di gioco, in particolare nella massima serie. In passato altri berlinesi hanno giocato da professionisti in America: Heiz Becker (1943-1947), Fritz Buelow (899-1907), Ed Eiteljorge (1890-1891), Dutch Schlieberer (1923). Kemp, tedesco, polacco e americano rappresenta un cocktail di successo (peccato che non ci sia un po’ di italiano). Nel nostro massimo campionato non abbiamo avuto berlinesi, ma tedeschi si; uno per tutti, Dave Pavlas. Anche se sono passati più di venticinque anni, molti ricorderanno quel 1994 quando il lanciatore nativo di Francoforte, che aveva avuto una esperienza da professionista coi Cubs nel 1990-91, contribuì tanto alla conquista dello scudetto per Parma. L’anno dopo sarebbe passato agli Yankees, dove avrebbe avuto modo di giocare dopo la conclusione di uno sciopero di quasi otto mesi dei giocatori della Major League. La sua carriera però fu breve (1995-1996), lanciando in venti partite. Max Kepler forse non finirà nella Hall of Fame, ma certamente fa bene al baseball europeo, quello che fa così fatica a emergere. Soprattutto ci aiuta a capire quanto sia importante coniugare abilità e adattare stili di vita per ottenere migliorare (ciò che fanno tanti nostri ragazzi che lavorano, studiano e giocano all’estero). Oggi più che mai ‒ basta solo mettere il naso fuori dalla finestra ‒ si comprende quanto lo scambio produca lo sviluppo di nuove idee, porti a nuovi progetti, crei opportunità…  Bitte, vi devo lasciare: chiamano per salire a bordo… Auf wiedersehen!

Berlin-Schönefeld Airport, 5 gennaio 2020