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Sensazione di vera follia…

di Giuliano Masola. Certo, dovete cominciare a preoccuparvi; io potrei farne a meno. Sono stufo, anzi esasperato di parlare di baseball e di softball; alla fine, che cosa sono? Niente più di una complicazione. E di complicazioni ne abbiamo ogni momento di più. Tutti parlano di semplificazione, complicando le cose, rubandoci tempo prezioso, in realtà.

Come ha detto un amico molto caro, ho fatto il mio tempo; in pratica sono all’ultimo inning e, ben che vada, perdio. Forse un ossimoro, secondo i dotti, ma mi accontento. Sono particolarmente orgoglioso di essere nato “in mezzo alle tomacche”, a Gaione (ora ci abitano grossi calibri del baseball). Ah! scusate, non ho chiaro di cosa devo parlarvi, ma la vostra benevolenza mi aiuterà. Si, parlavo di Gaione, un insediamento che risale al Neolitico e che ha avuto in età romana e poi medievale una certa importanza. Si, capisco, col batti&corri c’entra poco, ma parlare delle proprie origini fa sempre bene. Lì, per quanto ne sappia, non si giocava a baseball, anche perché il problema principale era mangiare: dai cinque anni in su tutti dovevano lavorare. Come ha scritto un tale Alberto nei suoi Ricordi, “da bambino non ho mai giocato”. Sembra assurdo, ma tanti, fra gli anni Venti e Quaranta del secolo scorso si sono trovati nelle sue condizioni, specialmente se non si mostravano in sintonia col regime. In questi tempi, in cui paura e follia si mescolano, parlare di giocatori, campionati e via discorrendo non è facile. Da una parte siamo ottimisti, ma dall’altra c’è una preoccupazione più o meno sotterranea che ci invade. Faccio una mia considerazione: problemi ne abbiamo sempre avuti e affrontati; avevamo meno informazioni, ma una grande fede nel futuro. Chi ha vissuto come me gli anni dal Cinquanta al Settanta sa cosa significa lottare ogni giorno per farcela, in un mondo in cui quasi ogni giorno i segnali di guerra erano molto superiori a quelli di pace. Sto sfogliando i giornali di quel periodo, alla ricerca di articoli di baseball, per cui mi rendo sempre più conto dei grandissimi pericoli corsi. Il mondo era diviso nettamente in due e ognuno dei contendenti (USA/URSS) utilizzava qualsiasi arma per avere la supremazia; idee e armamenti viaggiavano di pari passo. Fortunatamente il fungo atomico è rimasto allo stato sperimentale, se si escludono le bombe su Hiroshima e Nagasaki, La storia ha dei risvolti tragici: mentre i giapponesi portavano il loro tremendo attacco a Pearl Harbour era in corso una partita di baseball. Ma perché tutto questo, perché parlare di certi argomenti che alcuni vorrebbero fossero dimenticati? La questione è molto semplice: noi siamo partiti da lì. Sconvolti? Spero di no. Nell’agosto del 1945 l’Italia del Nord era liberata; quella del Sud lo era da oltre un anno; proprio da oltre un anno ad Anzio, Nettuno e Livorno palle lanciate e battute trovavano il loro spazio. Ricordare tutto ciò può sembrare inutile – la solita storia del vecchietto arterio – ma lasciatemelo fare. Siamo sempre meno a raccontarci le favole e i nipotini cui raccontarle si stanno riducendo al lumicino. Una realtà che fa male, che brucia tanto lavoro fatto nell’ultimo mezzo secolo, ma che occorre affrontare. Una domanda destinata a restare senza risposta è la seguente: dove sono finiti tutti quelli che riempivano gli stadi? Che sport fanno i loro figli e nipoti? Ogni volta che vado dal barbiere si finisce per parlare di baseball, anche perché un amico comune è stato il catcher storico del Montanara. “Ricordo Miele, Castelli… c’era sempre pieno… allora il Parma calcio era ai minimi termini”.  Come dire, con un buon fondo di verità, che c’è stato un effetto di vasi comunicanti fra via Piacenza e il Tardini; purtroppo ci ha rimesso viale Piacenza. Ciò però non dà una corretta risposta. Non è che, per caso, tanti di quei campioni osannati allo stadio abbiamo finito per appartarsi, per salutare tutti una volta usciti per l’ultima volta dal diamante? Certamente nella vita ci sono tante strade che si possono percorre e qualcuna di queste può essere obbligata, ma quando non trovi praticamente nessuno che ti venga a dare una mano per andare in una scuola o fare un po’ dimostrazioni in un grest ti vengono tanti dubbi. Probabilmente il fatto di non essere mai stato un giocatore mi rende le cose più facili. Mi fa venire rabbia ‒ molta rabbia ‒ il “day after”, cioè la cancellazione di quanto fatto fino all’ultino lancio o all’ultima battuta. Inutile fare nomi, basta vedere chi è rimasto davvero in campo; una minima percentuale considerando che il baseball ha superato la settantina. Forse ho un po’ di depressione, ma faccio molta fatica a capire. Tutte le società hanno enormi problemi di reclutamento; ovviamente cercano di darsi da fare in qualche modo; è proprio questo “qualche modo personalizzato” che alla fine è scarsamente produttivo. In una città in cui sono quasi quaranta attività sportive il problema è di tutti, incredibilmente anche di quelli del pallone. Poiché siamo sostanzialmente dei nobili, non ci va di porci un po’ di cenere in testa e provare a parlare con gli altri. Ma se non lo facciamo, per favore, non piangiamoci addosso. Come ha scritto George Bernard Shaw, “Spesso le persone si affezionano alle proprie difficoltà più di quanto le difficoltà si affezionino a loro”. Beh, io direi di affrontare le persone per superare le difficoltà. Che ne dite?

Giuliano Masola 26 gennaio 2022