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Una gazza per amica

di Giuliano Masola. Chi non ha nelle orecchie la celebre ouverture della “Gazza ladra” di Rossini? Penso tanti, anche perché il brano viene normalmente utilizzato nei concerti e in diversi film, il più celebre dei quali è “Arancia meccanica”.

Ma una gazza che può avere a che fare col baseball? Beh, da qualche tempo ce n’è una coppia che ha deciso che di impossessarsi del campo di una cittadina vicino a Parma, ma non so se è la stessa che volteggia intorno a casa mia e mi segue in trasferta. Nel prepartita le due gazze zampettano, saltellano, giocano, danzano con brevi voli fra gli esterni, ma appena c’è il play-ball una di esse si accoccola sul muretto dietro casabase e osserva curiosa. Non solo, in più di una occasione, finisce per spiccare un volo radente in direzione del battitore, quasi a volerlo rimuovere dal box. Nulla di grave; conoscendo l’indole di questi uccelli è più probabile che si tratti di stabilire di chi è il diamante; un’altra possibilità è che voglia di impadronirsi della pallina, altrimenti che ladra sarebbe. La gazza è considerata in modo diverso nelle varie parti del globo; mentre per noi ha un significato negativo, nel Nord Europa è vista come un messaggero e in Oriente come simbolo della felicità. Certamente il fatto che sia un animale onnivoro e soprattutto sia un predatore di nidi altrui non ce la rende simpatica e per questo si cerca di limitarne il numero. Ciò però non toglie che abbia caratteristiche tali da farla apprezzare; infatti è molto intelligente: il rapporto corpo-cervello è simile a quello delle scimmie antropomorfe e sa adattarsi a quasi ogni ambiente, tutte caratteristiche che il nostro gioco richiede. Poche sono le squadre che ne richiamano il nome; pare che sia l’Australia ad averne il maggior numero, a cominciare dai Port Adelaide Magpies. Un uccello che svolazza in campo non è una novità, specialmente in America, dove qualcuno è stato centrato da un lancio o si è posato sulla testa di qualche giocatore. Un piccolo problema, nel caso delle gazze, è costituito dagli orecchini che qualche giocatrice di softball porta mentre gioca: meglio coprirli. Come sempre c’è uno spazio, un territorio da conquistare o da difendere; anche nel baseball è così. Dagli anni ’90 in qua abbiamo perso molti campi, tante realtà e abbiamo finito per lasciarli alle gazze di turno (senza offendere i volatili). Non si tratta solo di aver costruito cattedrali o chiesuole nel deserto, ma lasciare che questo deserto si ingrandisca fino a strozzarci. Ciò è frutto di calcoli sbagliati, del pensare che il successo fosse qualcosa di duraturo; ci siamo fatti adescare dai luccichii. Proprio quando questo successo è sembrato a portata di mano all’inizio degli anni ‘80, ancor più delle gazze, rapaci e avvoltoi ‒ sport che vedevano limata la loro importanza, leggi vil moneta ‒ si sono messi all’opera. In quel momento, anziché far fronte comune, ci siamo lasciati prendere la mano da rivalità interne, da miopi politiche locali e abbiamo finito per ridimensionarci progressivamente fino allo stato attuale. Molti pensano che il mondo virtuale sia quello su cui si possa puntare, ma come venditori baseball e softball non siamo tanto bravi, soprattutto non riusciamo a creare un mercato; alla fine, che ci piaccia o no, si tratta di vendere il nostro gioco. Senza dubbio si può notare un certo fermento attraverso i social, ma questo finisce per esaurirsi fra chi ama già lo sport più bello del mondo, uno sport in cui il rapporto cervello-azione è continuo e indissolubile. Scorrendo annate di giornali, per esempio, si può vedere quanta importanza possa avere il batti&corri della provincia verso quello cittadino. “Gazza” è il nomignolo del giornale locale, che da quasi tre secoli viene pubblicato. Pur cambiata per molti aspetti ha saputo adattarsi, cercando di mantenere quel rapporto fra città e provincia che ne costituisce la forza. La presenza di un cronista locale, infatti, permette di coprire quei giorni in cui le squadre cittadine non fanno notizia. È per questo che perdere anche il più piccolo centro è deleterio, così come lo è non avere un corrispondente. Personalmente sono un sostenitore della carta stampata, pur utilizzando anche altri strumenti, poiché resto convinto che un buon articolo, una notizia qualitativamente ben proposta e scritta, ha la capacità di attrarre, di permettere una rilettura che stimoli una domanda, un approfondimento, un’idea. Siamo attratti dagli scoop, dai colpi sensazionali, sorta di grande slam giornalistico, ma questi sono figli dell’effimero, mentre noi ci rendiamo conto di quanto importante sia lo sbadilare giorno dopo giorno ‒ il significato originario di scoop è palettata. Le gazze sanno adattarsi con grande abilità, ma vivono alla giornata, mentre noi dobbiamo lavorare in prospettiva e ciò comporta intelligenza, dedizione, capacità di porsi obiettivi sfidanti, raggiungibili, pur prendendoci dei rischi. Come ha scritto una poetessa, “Impertinente quanto basta, / non ne becco una giusta, / oggi ho scambiato per amore una busta / vuota, con carta argentata, / solo il resto… di una cioccolata.

E se al posto della cioccolata trovassimo un campo pieno di bambine e bambini? Non ci resta che imitare la gazza nel modo migliore.

Giuliano Masola, 30 maggio 2021