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Finale di partita

di Giuliano Masola. Nel 1957 Samuel Beckett tradusse “Fin de partie”, un atto unico scritto originariamente in francese. Inizialmente, in italiano “Endgame” è stato tradotto come “Il gioco è alla fine”. Nell’opera teatrale non si parla di baseball. I due protagonisti, che vivono in una piccola casa in riva al mare; Hamm è un signore anziano cieco che non è in grado di reggersi in piedi, mentre Clov, il suo servo, non è in grado di sedersi; ci sono anche i due vecchissimi genitori di Hamm, privi di gambe, che vivono in due bidoni della spazzatura…

Si tratta di un dramma dalla difficile interpretazione, anche se prende spunto dal gioco degli scacchi, di cui Beckett era un grande appassionato: alla fine della partita restano il re e un pedone… È proprio di oggi la notizia che gli Anaheim Angels hanno comunicato la decisione di porre Albert Pujols in una sorta di limbo; non è più un titolare. Il quarantunenne campione è al decimo anno di un contratto da 253 milioni di dollari per giocare, più altri 10 milioni di dollari per restare al servizio della squadra, una volta smesso. Certamente non avrà problemi di fine mese, ma la notizia penso avrà colpito tanti di noi, anche se magari facciamo il tifo per altre squadre. Dal 2001 ad oggi ha giocato 2886 partite e realizzato 667 fuoricampo con una media di .298; in pratica è già nella Hall of Fame. Oggi la sua ultima valida con gli Angels rimbalza da un sito all’altro; un saluto di classe. La cosa che interessa, al di là degli appassionati di statistiche è un’altra. Come un grandissimo del passato, Roberto Clemente, si è sempre dato da fare per coloro che si trovano nel bisogno. José Alberto Pujols Alcántara è nato a Santo Domingo il 16 gennaio 1980 in una famiglia tanto povera che non avrebbe avuto da mangiare senza il sostegno statale. La sua vera istitutrice è stata la nonna che gli ha dato una precisa dirittura morale, sostenuta da una grande fede. Ha preso la passione per il baseball dal padre, che era stato un lanciatore conosciuto in tutto il paese. Fin dall’età di sei anni cominciò a giocare nel cortile di casa, sognando di percorrere la strada del genitore; il suo idolo era Julio Franco. All’inizio degli anni ’90 i Pujols decisero di emigrare a New York per migliorare il loro stato, ma la città si rivelò troppo cara e violenta: un giorno qualcuno sparò ad Albert e la nonna consigliò un trasferimento. Così la famiglia andò a Indipendence (Missouri) nel cuore degli Stati Uniti: un posto un po’ strano per ispanici che non conoscevano l’inglese. C’era una ragione valida però: nella città c’era una enclave dominicana; ciò avrebbe permesso un progressivo adattamento, un adattamento cui il baseball avrebbe dato un contributo decisivo. Albert iniziò a giocare nella American Legion, guadagnandosi rapidamente la fama di “terrore al piatto”. Imparò in fretta l’inglese e ciò gli permise di stare alla pari coi compagni. A Fort Osage, dove si trovò poi a giocare, Albert si rese conto che doveva migliorare continuamente per emergere. Nella prima stagione la sua media fu di .500 con 11 fuoricampo. Nel 1999 Marty Kilgore, coach del vicino Maple Woods Community College, lo vide alla All Star Game delle scuole superiori a Kansas City e lo reclutò per lo Spring training del 1999. Il resto è sui libri. La cosa che, almeno personalmente colpisce di più è il suo impegno sociale. Nel 2006, all’inizio di Settembre si trovò a giocare a St. Louis di fronte a migliaia di spettatori con la Sindrome di Dawn: per la seconda volta nel campionato realizzò tre fuoricampo in una partita (fin in dal 2002 Pujols faceva parte della associazione Buddy Walk). Nel 2005 nacque la Pujols Family Fundation per l’assistenza ai colpiti dalla sindrome e alle loro famiglie che si trovano in difficoltà a Santo Domingo “per onorare Dio”. Nel 2006, in occasione della Giornata Mondiale dei colpiti dalla Sindrome di Dawn, scrisse una lettera alla figlia: “Cara Bella, ti voglio dire ‘Grazie!’. Il tuo sorriso è contagioso e il tuo riso ha un bel suono. Grazie per aver riempito la mia vita di gioia…”. Oggi non è un bel giorno per Albert Pujols, che potrà solo vedere i compagni giocare, ma credo che potrebbe essere un giorno molto importante per il campionato della carità, dell’amore verso il prossimo; sono certo che fuoricampo di bontà non mancheranno. Credo che tutti, almeno una volta, abbiamo avuto a che fare con bambine e bambini con difficoltà di ogni genere e sono convinto che ognuno di noi ha cercato di fare qualcosa per renderli partecipi di un gruppo, di una famiglia che vive sui diamanti. Diamanti, pietre grezze e che si tagliano per farne emergere il massimo splendore; talvolta qualche taglio non è perfetto e il loro valore cala. Nel caso di Pujols, come di tanti altri campioni dello sport, si dimostra vero il contrario. È questo il finale di partita che mi permetto di augurare a un supercampione. Altri ne prenderanno il posto, speriamo, anche come attori di una grande umanità. Come ha detto una volta Albert Pujols: “Non è importante ciò che hai fatto lo scorso anno, ma ciò che farai il prossimo”. Siamo certi sarà una grande stagione.

Giuliano Masola, 7 maggio 2021