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È Pasqua, anche se non sembra

Giuliano Masola. È Pasqua, il grande pranzo tradizionale si è appena concluso; caffè e ammazzacaffè hanno sancito la fine della partita. Una partita che è assomigliata più a “test cricket” che a un incontro di baseball.

La giornata, cominciata con un freddo vento da Nord-Est, nel meriggio ha mostrato il suo caldo splendore, ideale per un “play ball!”. Sono ancora giorni di attesa, ma non giorni perduti. Giorni in cui la mente elabora nuove scenari e possibili prospettive. Giorni in cui si sistemano e si recuperano diamanti da tempo in disuso, nella speranza di poterli presto calcare. Alla fine dell’attacco a Pearl Harbour, l’ammiraglio giapponese Yamamoto chiese ai sui diretti collaboratori: “E le portaerei?”. Non ne avevano visto manco una: lontane dal porto per una esercitazione si erano tutte salvate; ciò permise alla Marina americana di iniziare una lenta e poderosa opera di recupero, fino alla vittoria finale. Ciò dovrebbe insegnarci a comprendere quali sono i motivi teorici e pratici che potrebbero ridare slancio al nostro baseball e al nostro softball. Per quanto positivi, non sono i successi delle squadre seniores a dare il segno della nostra capacità; dobbiamo invece guardare agli elementi chiave, ai giovani. Nel corso degli ultimi quattordici difficili mesi ci si è preoccupati molto dei “grandi” e molto, molto meno di ragazze e ragazzi. La risposta è semplice: la possibilità di avere soldi dal CONI, una istituzione che avrebbe dovuto gestire solo l’Olimpiade di Roma del 1960 ‒ niente è più duraturo del provvisorio. Personalmente continuo a non capacitarmi di una sempre maggiore miopia; nonostante ciò, cerco di far funzionare il “vecchio fagiolo”, magari a scoppio ritardato. Ho l’impressione, per esempio, che ci stiamo sempre più chiudendo in casa: si parla di Tokio, ma non di Francia, Olanda, Germania, Svezia, Repubblica Ceka, Russia e altri, per limitarci all’Europa. Ho il grande dubbio che ci sia venuta la paura di confrontarci, di scambiare esperienze, collaborare in modo pratico e duraturo. Una risposta classica è che mancano i “piccioli”, ma le risorse sono limitate per antonomasia. Per molti anni Olanda e Italia hanno dominato il baseball europeo, ma il mondo sta cambiando; ottenere successi non significa sempre avere programmi vincenti. Fare paragoni col passato, soprattutto oggi, visto che per molti parlarne rappresenta una sorta di lesa maestà. Da troppi  anni assistiamo a un declino che pare inarrestabile. Purtroppo abbiamo smesso di guardare in lungo e anche in grande; ci siamo più che allineati a un livello terribilmente basso, sulla falsariga di tanti cosiddetti politici che certamente non offrono un bell’esempio. Non credo che tutto sia sbagliato e da rifare; semplicemente ritengo che non si possano costruire paesi e città ‒ e tantomeno campi da baseball ‒ standosene in un ufficio a Roma. Quante cattedrali nel deserto anche nel nostro campo! Otre a ciò, ai posti di comando ci sono spesso persone che per fare un “o” con un bicchiere hanno bisogno di un consulente: cosa possiamo pretendere? Ci sono i praticoni, quelli capaci si risolvere problemi di breve periodo, ma l’intelligenza è una cosa ben diversa dalla furbizia. Un altro elemento che pone serie domande è la presenza di tanti atleti e allenatori che vengono un po’ da tutto il mondo a calcare i nostri diamanti: sono davvero così indispensabili e debbono essere così tanti? Soprattutto, la loro qualità è quella che ci attendiamo? Personalmente ho seri dubbi, poiché ritengo la loro presenza utile e necessaria solo se inserita in un programma di crescita e sviluppo dei nostri atleti e tecnici. Dovremmo anche avere il coraggio di essere chiari e trasparenti. Si dibatte da tempo sullo status degli immigrati e dei loro figli. La cosa che mi dà tremendamente fastidio è il “razzismo nel razzismo”. Per esempio, non tutti i “colored” sono uguali: se uno ha un piede d’oro o lncia a 160 km/h diventa una sorta di dio in terra e si trova la maniera per “italianizzato”, mentre un povero disgraziato in un campo profughi resta una sorta di animale da tenere in gabbia e da restituire a mittente appena possibile. Pochi giorni fa la MBL ha tolto ad Atlanta la All Star Game 2021 a causa delle leggi della Georgia che alle persone di colore rendono estremamente problematico, se non impossibile, di votare ed accedere alle cariche governative. Un atto di grande serietà e responsabilità (avrei voluto vedere il comportamento delle nostre federazioni sportive al posto della MLB). Ciò significa che in ogni gesto che facciamo, dal primo lancio all’ultimo out, ha una valenza politica, riguarda cioè la polis, la comunità: tutti noi insomma. Spesso ce ne dimentichiamo. Per questo più che il Regolamento dovremmo studiare la Costituzione: ci darebbe tanta forza, coraggio e ci offrirebbe le basi per un sano senso critico. Non lasciamo che siano altri a dettare leggi e regole che per noi possono essere un controsenso. Il mio è un invito a tenere alta la testa e gridare a gran voce non tanto il nostro dissenso, quanto le nostre proposte. Scrivere sui social serve a poco, vista la velocità in cui le notizie, troppo spesso “fake”, si susseguono e si frammischiano. In ogni caso, dobbiamo avere la forza e il coraggio di stare dalla parte dei più piccoli, perché anche noi lo siamo stati, e sarebbe un errore molto grave dimenticarcene. Che ci piaccia o no, questo drammatico periodo evidenzia che un nuovo futuro, noi presenti, è cominciato. Come diceva Vincent Van Gogh, “Non vivo per me, ma per la generazione che verrà”.  

Giuliano Masola, 4 aprile 2021