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Un braccio senza età

di Giuliano Masola. La storia di Satchel Page è conosciuta quanto sconosciuta è la sua data di nascita a Mobile, nel Kansas. Leroy Robert Page, un lanciatore senza età, ha continuato a salire sul monte fino a quasi sessant’anni. C’è chi forse ha fatto meglio di lui: Conrad Marrero, “che non smette mai di lanciare”. 

A 27 anni, è salito per la prima volta sul monte per una squadra amatoriale della Lega Cubana; nel 1950, a 39 anni, è stato il “rookie” più anziano dei Washington Senators Nel 1999, dopo il cerimoniale primo lancio dell’incontro fra gli Orioles e Cuba si rifiutò di scendere dal monte; continuò ad effettuare un lancio dopo l’altro fino a che Brady Anderson decise di girare la mazza. Marrero aveva iniziato la carriera come terzabase a Sagua la Grande, ma smise dopo essere stato colpito al volto da una rimbalzante e si era ritrovato con qualche dente in meno. Da lì è iniziata una carriera che lo ha portato a ottenere complessivamente 350 vittorie. Nel 1942 a Cienfuegos ottenne un record di 22 vittorie e 5 sconfitte con 1,22 di PGL, ma gli sarebbero occorsi altri quattro anni per giungere in Major League. Una cosa lo accumunò presto a Page: l’età. Clark Griffith, proprietario dei Senators, era fermamente convinto che il giocatore avesse otto anni in meno di quanto dichiarato dai documenti. Il “Saturday Evening Post” una volta scrisse ch”e Marrero dimostrava 35 anni, ma che ne poteva aveva 37; ufficialmente 43, ma certamente 42”. Alto 1.67 m. e 72 chili. di peso, divenne famoso per i suoi lanci curvi; in realtà ne eseguiva di ogni tipo come disse a un cronista: “Lancio di tutto, eccetto il mio sigaro”. Il suo grande talento gli consentiva di avere una padronanza incredibile; soprattutto aveva una memoria pressoché perfetta delle caratteristiche dei battitori avversari. Gli piaceva ricordare come avesse messo al piatto “The Splendid Splinter”. Dopo avergli fatto battere in foul un paio di lanci, Marrero lanciò a Williams una palla di nocche, mandandolo a vuoto. “Teodoro odia i knuckle… e gli slider, ma poi ha imparato a batterli”. Ted Williams, infatti, riuscì a vendicarsi, come il “Curveballer” dovette ammettere nel 1978. “A Boston mi fece due fuoricampo in una sola partita, uno su uno slider e un altro sulla nuckleball. Alla fine mi abbracciò dicendo:‘Oggi è la mia giornata’. Gli risposi che ogni giorno era la sua (contro Marrero la media di Ted Williams è stata di .333), Un battitore che ha sempre tribolato contro il “Curveballer” è stato Frankie Robinson (.175 di media battuta). “Lo odiavo, mi faceva fuori facilmente”. Una volta Marrero si trovò davanti Robinson dopo aver già effettuato 102 lanci. Bucky Harris, manager dei Senators andò sul monte per suggerirgli d lanciare alto e interno. Marrero gli ribatté che se l’avesse fatto gli esterni avrebbero dovuto prepararsi per una gran legnata; sarebbe stato meglio, invece, lanciare curvi bassi ed esterni. “Scommettiamo un sigaro che lo metto al piatto!”, “D’accordo” rispose Harry: Robinson battè un campanile che pose fine alla partita. Certamente lanciatori dalla lunghissima e per certi aspetti incredibile carriera ci rimandano alla realtà odierna in cui, nella grande maggioranza dei casi, i partenti lanciano per sette inning o intorno ai cento lanci. Indubbiamente il talento aiuta, ma probabilmente si tratta più di raggiungere una certa attitudine mentale. Come viene spesso ricordato, il lanciatore dovrebbe avere “la mentalità dell’assassino”, ma non tutti la possiedono. Credo che l’esempio di Marrero dica quanto sia importante l’amore per il gioco, la capacità di riprendersi dopo un’esperienza che avrebbe traumatizzato chiunque. A ben pensarci, infatti, un lanciatore rischia più di un terzabase; anche per questo ci sono lanciatori che tendono di intimidire i battitori; Bob Gibson è stato un classico esempio ‒ non si fa una ventina di strikeout in una partita perché si è un bravo ragazzo. La determinazione però non è violenza, ma consapevolezza e chiarezza di obiettivi. Tante volte vediamo giovani lanciatori dal braccio incandescente svanire nel nulla in pochi anni. Certo, il logorio, se non supportato da una seria preparazione, può mostrare presto i propri effetti, ma, ripeto, la capacità di usare il cervello può compensare un calo di velocità. Satchel Page e Conrad Marrero sono delle eccezioni, ma non sono casi unici e questo deve far meditare. Nella prima metà del secolo scorso la figura del pitching coach, cosi come la preparazione precampionato era un po’ agli albori; il manager era il factotum e il proprietario della squadra decideva spesso anche per lui. Ciò ci invita a meditare anche sui motivi che possono portare all’abbandono, alla perdita di chi si sente di aver chiuso la carriera perché il braccio non va più. Oggi c’è la possibilità di avere preparatori scientificamente formati e pitching-coach di esperienza. Non lasciamo quindi che atleti che possono ancora avere del potenziale abbandonino il diamante; siamo già pochi per cui ogni perdita rappresenta un piccolo dramma. Il nostro compito, quindi, è di fornire un supporto psicologico, offrire loro la possibilità di restare in campo, spiegando quanto sia importante trasmettere le proprie esperienze al fine di evitare che altri possano commettere gli stessi errori. Come diceva Satchel Page, “Non ho più la velocità di una volta, ma sono un lanciatore migliore; li surclassavo con la potenza, ora li batto con la scaltrezza”.

giuliano, 21 febbraio 2021