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Da un problema a una opportunità

di Giuliano Masola. In questi giorni stanno circolando i programmi di chi si contende la presidenza per il prossimo quadriennio; non partecipando al voto posso solo esprimere qualche idea e osservazione. Poiché non si mangiano cavoli a merenda, come si suol dire, occorre partire da un presupposto: il vile denaro. La nostra Federazione ha un budget, escluse entrate straordinarie, di circa 2 milioni di euro, probabilmente equivalenti al costo dei materiali per una blasonata squadra di pallone, oppure a circa 400 mq di appartamento in una zona non centrale di Milano.

Senza soldi si fa poco; il volontariato è necessario, solo su una duratura organizzazione, che tenga conto non solo del marketing e della pubblicità,  ma anche dei rapporti sociali, si possono fare programmi a medio/lungo termine. Pertanto, occorre trovare soldi per fare investimenti e organizzarsi in modo nuovo. Dove e come?; soprattutto perché si dovrebbe investire su uno sport che continua a perdere posizioni nell’indice di partecipazione? Una domanda alla quale francamente faccio fatica a dare una risposta. Chiacchierando con un amico, dicevo che all’inizio degli anni ’90, quando Berlusconi decise di fare da sponsor al baseball milanese ‒ molti ricorderanno la Mediolanum ‒ venne compiuto un errore: occorreva fare in modo che Milano vincesse il campionato, che era l’obiettivo di Silvio entro cinque anni. La Mediolanum ha vinto delle coppe, ma sappiamo bene quanto sia differente l’impatto mediati rispetto allo scudetto. Certo, è un pensiero cinico, lontano da quelli di De Coubertain, ma il realismo fa parte delle scelte dei governanti. Non credo che a quel tempo si sia trattata di una questione di sportività, quanto di una certa superbia, di un certo campanilismo e provincialismo. C’è un altro tema non considerato: il continuare a restare chiusi in noi stessi. Tanti sport, se non tutti, hanno un comune problema: la progressiva perdita di giovani dall’età adolescenziale, oltre a una buona percentuale di ragazze e ragazzi che non svolgono una attività sportiva organizzata, ma se ne stanno a strimpellare sul pc. Questo dovrebbe far riflettere e farci uscire dal nostro guscio, una casa più bella delle altre perché fatta di diamanti. Certo questo non appare, per esempio, quando si vedono palestre piene di ragazze e ragazzi che giocano a pallavolo o fanno danza, ma fino a che età lo sono? Per quanto ne so, rugby, pallacanestro, atletica (almeno a Parma) soffrono di questo problema; del baseball e del softball non ne parliamo… Anche lo stesso sport nazionale, che è bello e attraente, ma a mio parere è un grande “trituratore” di giovani, non ne è esente: i grandi numeri mascherano la realtà. Ormai siamo in fondo alla classifica degli sport prescelti e penso che dovremmo allargare la nostra mente, trovando sinergie innovative, utilizzando intelligenze che in ogni campo esistono. Qualche tentativo c’è, come mi diceva un amico, ma si tratta di una forma “locale”, sperimentale. Avendo vissuto per molti anni in una polisportiva, mi rendo conto delle difficoltà della convivenza fra più attività: ogni sezione ha i propri obiettivi e solo un forte dirigenza riesce a coordinarli e indirizzarli, e non sempre ce la fa. Spesso siamo portati a credere che l’erba del vicino sia migliore della nostra, ma basta approfondire un po’ lo sguardo e capire che spesso non è così. Coi vicini ci possono essere rapporti buoni o cattivi, ma ci sono. Quando i problemi sono gravi, la vicinanza si può trasformare in comunanza, in prossimità. Diciamocelo francamente, per qualche anno abbiamo peccato di superbia: gli stadi pieni ci hanno fatto sognare, pensare di diventare uno sport veramente popolare, ma non è andata così. Nell’azienda dove ho lavorato per oltre quarant’anni, nel corso di una riunione annuale, molti parlavano di programmi di crescita, di ampliamento delle zone di vendita e di relativi fatturati. Un responsabile delle vendite, riferendosi alla concorrenza, disse: ”Ma gli altri lo sanno?”. Non ci siamo posti la domanda tanti anni fa e ora dobbiamo in qualche modo farlo sapere agli altri, cercando di trasformare un comune problema in opportunità. Come fare? Credo che questo sia il nocciolo della questione, poiché investe l’organizzazione e questa, da troppo tempo a mio avviso, resta carente. La distanza che separa il centro dalla periferia è diventata tale da creare difficoltà e, soprattutto, perdita di opportunità. Come ho già detto in altre occasioni, solo la vicinanza al problema, alle persone, permette di avere una misura dello stesso e ricercarne la soluzione. Se non si vogliono ricreare i comitati a livello provinciale, si possono realizzare per macro zone, togliendo quel concetto di “regione” che, a mio parere, sta evidenziando più problemi che opportunità. Solo attraverso un confronto interno ‒ chi fa del baseball e del softball, in diversi casi, segue anche altri sport, anche come tecnico e dirigente ‒ si trasmettono idee. Oggi tenere in piedi le società, raccogliere e far amare a ragazze e ragazzi il batti&corri è molto difficile. Le belle parole di questo o di quello non bastano. Dobbiamo aprirci, cercare e dare supporto se vogliamo tornare a progettare il nostro futuro. Affrontare una palla rappresenta sempre una difficoltà: possiamo scansarci e lasciarla passare, ma se siamo uomini cerchiamo di afferrarla e di tirarla a un compagno. Come ha detto Reggie Jackson: “Non puoi rubare la seconda tenendo un piede in prima”.

Giuliano Masola, 25 ottobre 2020.