fbpx

Zigzagando

di Giuliano Masola. Nel nostro gioco si procede a zigzag, quasi a tentoni, soprattutto nelle trappole. Era un po’ il modo in cui i “dodgers” davano prova di abilità e coraggio, scansando i tram e attraversando le rotaie all’ultimo momento. Anche il modo in cui ora si cerca di giocare mi pare a zig-zag, un modo di procedere dominato dall’ansia più che dalla temerarietà. Il nostro comune avversario pare implacabile, mutevole e non ci dà tregua.

A fronte di ciò occorre realismo: probabilmente per avere un vaccino occorreranno ancora mesi, col rischio che anche la prossima stagione salti. Ovviamente ci auguriamo tutti che non sia così. In effetti diventa molto difficile pensare a cosa fare, poiché l’esperienza attuale non offre molti indicatori. Altre discipline hanno già emanato calendari per i prossimi mesi, confidando soprattutto nella ripresa delle scuole, facendo però ricadere la responsabilità sui presidenti di società, in particolare. Insomma, l’importante è inviare direttive; se capita qualcosa la colpa è degli altri. Dall’”Armiamoci e partite” al “Tutti a casa!” in passato ne abbiamo visto di ogni colore. Purtroppo per noi non valgono quelle sfumature di grigio che tanto hanno successo: è strike o ball, salvo o out e così via: le decisioni sono sempre trancianti e prese in tempi molto stretti, con relative conseguenze. In questi giorni che in altre occasioni sarebbero state piene di vita e di festa, tutto pare un lontano ricordo. Chi riesce ad andare in campo ‒ da chi ti prova la temperatura a chi chiude i cancelli ‒ si trova in una situazione di straniamento, come se vedesse il tutto da un’altra dimensione, da un altro pianeta. In una sorta di sogno surreale piccoli punti si muovono quasi a scatti in grandi spazi troppo silenziosi, dove anche un bel sole fatica a portare il sorriso. Anche i pensieri hanno il loro da fare per trasformarsi in azioni. Ci si guarda con alone di preoccupazione e sospetto, e il gioco ne risente. Stiamo assoggettandoci tutti a starcene distanti, anche se con grande fatica. Proprio questa distanza, alla lunga, credo porti a conseguenze di cui tenere conto. Prima di tutto la tendenza all’isolamento. Oggi, per esempio, sono abbastanza rari i casi in cui i matrimoni avvengono fra parenti stretti, ma in piccoli paesi, in particolare della montagna, solo fino a poche decine di anni fa le malformazioni genetiche erano numerose, quasi date per scontate, proprio perché non ci si spostava. La grande possibilità di muoversi ha cambiato in meglio la situazione. Ora il rischio, benché minore di un tempo, è di tornare in situazioni simili, almeno per noi. Infatti, baseball e softball non sono diffusi capillarmente; in alcune province e regioni il numero di società e squadre si conta con le dita di una sola mano. Il non potersi muovere, anche per ragioni di costo, significa passare dalla rarefazione alla desertificazione e di questo proprio non abbiamo bisogno. Credo che occorra fare un pensiero profondo sull’anno che verrà e non scrivere per rilassarci un po’ come cantava Lucio. Non abbiamo tempo, non possiamo permetterci di perdere tempo, partendo proprio da quella che probabilmente la situazione più critica mai affrontata. Se è vero che nel baseball l’80% è una questione di testa (e il 50% fisica…) dobbiamo partire da questo presupposto, se vogliamo superare un disorientamento complessivo. Spesso si va alla periferia partendo dal centro; molto probabilmente dovremmo fare il contrario, andando a verificare lo stato e la necessità dei punti più deboli, più a rischio. Certo questo fa a pugni con chi pensa a grandi eventi capaci di attrarre l’attenzione dei media, ma senza un pubblico reale, anche il più grande spettacolo diventa un dispendioso fallimento. Ancora una volta dovremmo guardarci allo specchio, non tanto per sapere chi è la più bella del reame, quanto per verificare la nostra realtà. Di cosa sono fatti il nostro baseball e il nostro softball, su quali fondamenta si basano? Senza una risposta a questa domanda, tutto si trasforma in una versione snaturata del “carpe diem”. Gli Antichi, che usavano la testa al posto del cellulare, avevano gli stessi nostri problemi, ma cercavano continuamente presagi per potere predisporsi al futuro: il volo di un’aquila, una leggero vento che scuoteva le fronde di un albero sacro, un fuoco che non bruciava e così via. Cose di cui oggi sorridiamo, ma di cui occorre tener conto come processo mentale. Non siamo qui per caso e non ci saremo per grazia ricevuta. Al di là di ciò che si pensa ai piani alti, ribadisco che nulla si risolve se non si parte dal basso, anche se questo non dà lustro e successo in tempi brevi. È tempo, a mio avviso, di organizzarci in modo diverso. Anche le strutture sportive più danarose e potenti sono in difficoltà; alla fine dello sport virtuale ci si stanca in fretta. Quanti sono coloro che si vedono una intera partita per tv o simile? E se sì, con quale grado di attenzione? Il baseball e il softball (come in tanti altri casi) non si imparano per corrispondenza; ciò dovrebbe far riflettere. Non abbiamo tempo, non perdiamo tempo. Riprendiamoci la responsabilità di essere noi attori e non marionette; le “grida” alla fine, restano importanti solo per i topi da archivio. Per il resto, “a chi non ha niente da dire / di tempo ne rimane”.

Giuliano Masola, Cannitello, 6 agosto 2020