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Emozioni

di Giuliano Masola. Dopo oltre nove mesi sono tornato in campo; mi sono sentito come la prima volta che ho arbitrato,  migliaia di inning fa. L’emozione è stata tanta, palpabile, come in tutti, in fila alla prova preliminare della temperatura. Giove pluvio mostrava la sua contrarietà, rovesciando secchiate d’acqua all’inizio del riscaldamento: la grande attesa sembrava dovesse andare delusa.

“Giochiamo? ‒ mi fa un ragazzino ‒ è la mia prima partita!”, mentre tentavo di trovar riparo dall’acquazzone; probabilmente quella frase ha fatto cambiare idea al re degli dei. La prima partita non è certo con “emozione da poco” come cantava Anna Oxa, ma un dato di fatto, un momento importante da mettere nell’album dei ricordi. Il tempo logora e arrugginisce, ma non fa scordare i momenti magici, anche se non ricordiamo più esattamente la data e il luogo. Non era importante avere una divisa, era già tanto averne una per quanto raffazzonata, quella che ci piacerebbe aver conservato. I ragazzi hanno sempre un potere magico: la voglia e la capacità di giocare insieme. Le cautele attuali richiedono distanze, che però un bel sorriso supera alla grande. Anche per questo la partita è stata emozionante, tanto da finire con il “tie-breack” dopo due ore e mezza di gioco. Certo si è cenato a tarda ora, ma si è giocato, si è cercato di dare il meglio. Certamente, ogni cosa e ogni gesto in questo momento (chissà quanto lungo) richiedono una particolare attenzione, ma credo che ciò sia abbastanza ben compreso da chi va in campo. Ci accontentiamo di poco e giochiamo per quel poco che si può. Ognuno di noi ha la propria idea in proposito, ma una volta dato il “Play ball!” penso che la cosa migliore sia quella di immagazzinare l’esperienza per poi fare proposte, attivare iniziative. Cercare la coerenza a tutti i costi serve a poco, ma approfondire le ragioni di una crisi del batti&corri che il covid sta facendo emergere in modo inequivocabile credo che sia il compito di ognuno di noi. Le difficoltà sono notevoli e i rischi molteplici. Proprio per questo penso che occorra focalizzarci sul fatto di ricreare una base fatta di giovani. Non capisco quasi niente dei social, che ritengo un arma a doppio taglio, ma mi pare di cogliere che ci si focalizzi su situazioni locali, più che di ampio respiro. Come al bar, ognuno dice la sua; soprattutto ogni “chiacchiera” ha il carattere dell’effimero: preso l’ultimo caffè o bicchierino, si salutano gli amici e tutto finisce lì. Questo porta a disperdere idee buone, bozze di progetti, reali approfondimenti. Il nostro è sostanzialmente un cieco amore, e questo finisce di farci perdere la ragione, la coerenza, un corretto perseguimento dell’obiettivo. Non abbiamo mai vissuto periodi facili, anche se qualche volta ci siamo illusi che lo fossero. Purtroppo abbiamo imparato poco dalle dure lezioni avute nei lunghi anni di crisi. In qualche modo abbiamo superato molti ostacoli, anche attraverso una riorganizzazione, talvolta dolorosa. Di tante società nate e cresciute fra il 1965 e il 1975 ne sono rimaste ben poche. La salvezza è stata possibile, nella maggioranza dei casi, dalla fusione, dal passaggio a un modello organizzativo di tipo professionale, reso ancor più necessario da una normativa sempre più vasta. Ciò, però, ha avuto conseguenze gravi quali la perdita di tante realtà in provincia: un vuoto che pare difficilmente recuperabile. Nessuno ha la bacchetta magica, ma non per questo non dobbiamo farci dominare dal “nun cia fazzu”. La volontà può tanto solo se supportata da una visione tattica e strategica. I tentativi di salvare il salvabile hanno raramente successo e, in ogni caso, non producono futuro. Come nella quotidianità, troppe regole ‒ un labirinto senza uscita ‒ finiscono per soffocare palline, guanti e mazze. È questo un buon momento per ognuno di noi, di tutti coloro che sanno ancora “fermare qualcosa che è dentro me”, per buttar nero su bianco, passando dalle chiacchiere alle proposte. Mi diverto a pubblicare vecchie immagini; non è mai facile la scelta, poiché dietro ogni volto, ogni situazione c’è sempre un messaggio che mi fa pone domande. Perché eravamo lì? Perché sono ancora qui? Quanti di quei volti, dopo poche stagioni, non si sono più rivisti sui diamanti, ancor meno in tribuna. Certamente ci sono delle giustificazioni, ma nessuno credo si sia mai posto il problema di interrogarli, di capirne le motivazioni. In questo credo siano stati compiuti molti errori a ogni livello. Dall’America abbiamo acquisito il baseball e il softball, ma non abbiamo saputo inserirlo nel nostro contesto. Soprattutto non abbiamo compreso un elemento importantissimo, quello degli ”alumni”, cioè di coloro che hanno frequentato una certa scuola, hanno lavorato in una certa impresa e così via. Ciò significa un contatto continuo, che permette sempre di far parte di una comunità, di un gruppo di discepoli, cogliendo il significato profondo che il latino ci regala. Non lasciamo quindi che fra poche partite tutto venga archiviato e magari dimenticato. Se lo vogliamo, insieme potremo “Seguir con gli occhi un airone sopra il fiume e poi / ritrovarci a volare”. Verso il futuro, ovviamente.

Giuliano Masola, 13 luglio 2020