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Curve a gomito

di Giuliano Masola. È un modo di dire dei motociclisti (non so se ancora in voga). Un po’ tanti anni fa la capacità di affrontarla “a manetta”, rappresentava la differenza fra i duri e gli altri. Mio fratello in moto ci sapeva proprio andare; io ero l’esatto contrario. Infatti, la mia esperienza è terminata all’ingresso di un bar dalle parti di via XX Settembre, dove allora c’era la sede della Coop UPCC, dove sono entrato Vespa compresa…

A ognuno il proprio mestiere. Le espressioni popolari hanno un grande pregio: immediatezza e incisività. Il gomito è qualcosa di delicato, da trattare bene. È anche quello che, fuori dal diamante è consigliabile non alzare troppo. È inutile negare che ci troviamo in un tracciato difficile, accidentato; pieno di curve a gomito, purtroppo. Il 4 luglio da festa americana si è trasformata in una sorta di italico “Freedom Day” per il baseball e i softball ritornati in campo. Una data che probabilmente ricorderemo. Il lancio di una palla, di una battuta, di una corsa, di un tiro sono sempre una cosa che affascina, ma restano il risultato di una lunga e meticolosa preparazione. In questi giorni, le notizie che girano all’interno del nostro mondo sono le più varie, della serie idee in libertà. Certamente ognuna di esse ha qualcosa di logico. A mio parere, però, occorre fare una netta distinzione fra ciò che è provvisorio e il resto, pur rendendomi conto che non c’è niente che sia più duraturo del provvisorio stesso. È pur vero che nella Major League sono state adottate regole che limitano i rischi come la presenza del battitore designato anche nella National League (non è un obbligo), ma confrontarci con una realtà così differente mi pare un eccesso. Pare che un antidoto a tutti i mali, una panacea, sia ridurre la durata delle partite seniores a sette inning per il baseball. Le partite durano meno, ci si annoia di meno per cui ci saranno più spettatori e possibilità di avere adesioni. Sarà. Personalmente non sono d’accordo per tutta una serie di motivi. Salvo rare eccezioni i nostri campionati sono allineati a regole europee se non mondiali, tanto da mettere in difficoltà, in particolare il settore giovanile; basta pensare alla differenza fra il campionato ragazzi e cadetti e quello della Little League. Se alziamo l’asticella, ci troveremmo giocatori tarati sui sette inning quando dovrebbero giocarne nove appena varcato il confine. Si può tutto, ci si adatta a tutto. Si ritiene che la riduzione del numero degli inning permetterebbe agli italiani di essere più presenti, in particolare ai lanciatori sul monte. Ma mi chiedo: quanti ce ne sono? Al di là di qualche reminiscenza del poetico italico valore, le società di alto livello hanno bisogno di mettere in campo giocatori adeguati, anche per far fronte agli impegni presi con gli sponsor. In realtà, credo che tutto questo evidenzi una grande differenza e diversità fra ciò che noi consideriamo baseball (ma la cosa potrebbe valere per tanti altri sport): il concetto di “pastime”. Il diamante e tutto ciò che vi sta intorno è un mondo dove si vive in un altro modo, dove il valore preminente è lo stare insieme, dove le famiglie possono ritrovarsi per incitare, chiacchierare, far colazione, ecc. Anche per questo c’è la ressa per prendere una palla in foul o portarsi a casa un cimelio, modello “c’ero anch’io”. Tutto si può fare, ma come sempre, occorre guardare in lungo, ponderare. Giocare stette o nove inning, se vogliamo, è un discorso tecnico e, a mio parere, non è la giusta risposta a problemi che ci stiamo trascinando fin dagli anni Novanta del secolo scorso. Non c’è mai una stagione perfetta, ma in qualche caso ci si è avvicinati ad essa, come compendio di tutto un periodo di formazione e di preparazione, anche politica. Momenti difficili, anche difficilissimi, ce ne sono stati e ancora oggi ne subiamo le conseguenze. Non possiamo, sempre a mio parere, che si parta da considerazioni tecnica per arrivare alla decisione politica, poiché questa produce effetti significativi sull’ambiente complessivo. Come insegnavano almeno già venti anni fa nelle grande aziende, dobbiamo considerare gli “shareholders”, da non confondere con gli azionisti: tutti colo che partecipano all’impresa, compresi i clienti e i fornitori, anche potenziali. Ho la quasi certezza che continuiamo a  sperare di trovare il tesoro nel nostro orticello. Credo che occorra magari dare un’occhiata a quello del vicino, non tanto perché è classicamente sempre più verde, ma perché ci può qualche soluzione interessante per migliorare la situazione, senza stravolgimenti. Una volta il mio mestiere era fare previsioni, pianificare. Ciò, per quanto difficile, era fatto non solo su basi storiche, ma anche attraverso contatti con esperti internazionali di diversi settori. Evidentemente alla fine la responsabilità era di chi aveva “dato i numeri”, ma chi lo aveva fatto poteva mostrare le basi da cui era partito e la logica conseguenza del risultato proposto. Non significava prenderci, ma affinare continuamente il possibile risultato finale. Non so se nel batti&corri ciò sia possibile. Ma è certo, sempre a mio avviso, che occorra fare un grosso sforzo per provarci. Il problema è trovare chi possa farlo in modo consistente, come si dice. Il resto sono chiacchiere. Anche per questo sono d’accordo con quanto diceva Tom La Sorda: “Amo i doppi incontri: sto più tempo in divisa”.

Giuliano Masola, 5 luglio 2020.