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Grazie Gibo!

di Giuliano Masola. Sono passate ormai tre settimane dalla conclusione delle Qualificazioni Olimpiche di Baseball. Ci toccherà fare da spettatori (via TV, nella maggioranza dei casi), ma anche questo fa parte del gioco. Di questi giorni più che intensi, mi sono rimasti impressi tre immagini, tre fatti di quelli che lasciano il segno. Il primo è quella di arbitro in lacrime, che come ha detto un amico, “piangeva come una fontana”. Ricorderete senz’altro ‒ o almeno avrete avuto notizia ‒ del triplo gioco con l’Italia ha vinto col Sud Africa. Una giocata nata da una palla non ben vista dall’arbitro di casa base, che l’ha dichiarata buona. Purtroppo, per una giocata del genere non era previsto l’immediato replay e non c’è stato nulla da fare: si è trattato di una decisione arbitrale inappellabile, ma si si trattava di un foul, di una palla morta… Ciò è stato notare all’arbitro immediatamente dopo la fine della gara. Per chi si sacrifica tanto per raggiungere certi livelli si è trattato di un risultato più che amaro: tutto gli è crollato addosso.

Penso che almeno per un momento abbia pensato di buttar via tutto e trovare qualche altra cosa da fare. Mi è spiaciuto tantissimo, perché si tratta di una persona che si ricordava di me, di quando abbiamo arbitrato al Torneo di Pineuilh nel 2002; si ricordava della mia maglietta a righe che aveva suscitato curiosità e scalpore e lo diceva a tutti. Visto così, il tutto può essere racchiuso che nel campo dell’imponderabile c’è anche la decisione arbitrale, e basta. Il discorso è, almeno per me, un poco più delicato, da approfondire. Si dice che in campo ci sono più squadre che giocano; fra queste ce n’è una di casa, una ospitata e quella degli arbitri. Proprio così, c’è la squadra degli arbitri. Normalmente quest’ultima non la vediamo, poiché il più delle volte c’è solo arbitro in campo, quando c’è. Ma lì erano in quattro, di alto livello, tre dei quali non si sono ricordati, molto probabilmente di far parte della squadra. Purtroppo, infatti, nessuno degli arbitri di base ha dato una mano al collega. Sigh! Credo che situazioni difficili, che diventano incresciose come questa, debbano far meditare più di tanti aggrovigliamenti regolamentistici. Un altro fatto che mi ha colpito è stato un esercito vero e proprio a protezione della squadra israeliana. Pur non essendo una novità, stante l’apparato più o meno visibile che c’è anche nei tornei giovanili in situazioni simili, in questo caso si è trattato di avere un settore del campo praticamente blindato. Evitare problemi, che potrebbero essere anche molto gravi, è sacrosanto. La domanda che mi pongo però è un’altra: come si vive in queste condizioni? Certamente ci si adatta a tutto, ma stare sempre scortati con qualcuno pronto a difenderci significa che qualcun altro può attaccarci, colpirci. Sarà perché sono nato nell’anno dell’entrata in vigore della Costituzione, per cui la guerra l’ho sentita raccontare da mio nonno e dai miei genitori, ma la cosa mi ha creato apprensione. Positivamente, però, mi ha mostrato quanto sia importante la Pace, il poter muoversi liberamente da un paese all’altro, dove i muri ‒ speriamo ancora per molto molto tempo ‒ restino il limiti di un campo da baseball. Anche questa, credo, è una riflessione da fare, di carattere generale. C’è un terzo fatto, tipico del nostro substrato pallonaro. Immediatamente dopo la perdita della possibilità di andare a Tokio, il manager della Nazionale, Gilberto Gerali si è dimesso. Un atto di grande onestà intellettuale, oltre che sportiva: chi sbaglia ‒ o meglio non raggiunge l’obiettivo ‒ paga. Gibo lo ha fatto senza dubbio con grande sofferenza, ma con una ancora più grande classe. Le scelte sono state fatte, il rendimento dei giocatori è stato molto al di sotto dello stimato: out! Certo, out. Out chi? Il manager ovviamente. Non basta, non sono d’accordo. Anche in questo caso, la squadra, quella che sta dietro, dov’era?; soprattutto, dov’è? Probabilmente è ancora tutta intera. Salvo uno, il manager dimissionario. È la vita…ci sono da comprendere le ragioni, capire cosa si può fare, trovare un nuovo responsabile per la squadra azzurra: “scurdàmmoce o’ passato…”. Come sostiene qualcuno che forse ha avuto problemi a scuola, la Storia non serve, poiché alimenta la violenza… Ho seri dubbi in proposito. Più probabilmente non serve, poiché così si azzera tutto e non ci si fanno certe domande. Cancellare la coscienza è il miglior modo per indicare la via (anche questo è storia, non certo la più felice) agli altri, ovviamente. Conosco Gibo da sempre, ma quanto accaduto mi ha dato l’occasione di conoscerlo ancora di più, di essergli ancora più amico. Ha esaminato la situazione, ha colto i punti deboli e ha compreso che il rimanere non avrebbe fatto bene alla Squadra, quella con la “S” maiuscola, di cui facciamo tutti parte. Per la “back stage squad” c’è solo da piangere, anche se a piangere saremo probabilmente solo noi. Cosa gliene importa, alla fine. Il capro espiatorio è stato trovato, anzi, si è eroicamente autoimmolato: che volete di più? Vorremmo delle cose semplici, a cominciare dal senso di responsabilità, ma è chiedere troppo. In una società sempre più egoista il “mors tua vita mea” è diventato il motto dominante. E se il collega che ha sbagliato una chiamata molto difficile non andrà a Tokio, vorrà dire che ci sarà una opportunità in più… Tristezza? No, solo qualche pensiero da vecchietto attaccato al contastrike. Amarezza, certamente. Ma mi fa coraggio quanto Gibo ha detto alla fine:” ‒ Lasciate sbollire la delusione. Ma io sono un uomo di baseball. Sui diamanti mi ritroverete ancora”. E spero di potergli dare una mano.

Giuliano Masola, 8 ottobre 2019.