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Pensieri d’Oriente

di Giuliano Masola. Un proverbio calabrese dice che dopo Ferragosto comincia l’inverno e le “mulangiani” (melanzane, con cui si fanno tanti bei piatti, dalla pasta alla Norma in poi) aumentano di prezzo. Dietro questo c’è una antica filosofia popolare, quello che non sarebbe male riscoprire. Dalle nostre parti, spesso, ci affidiamo a pensatori che ci parlano da lontano. Sarà anche per questo, che mi è capitato per le mani un libricino, che mi ha regalato l’amico Claudio, grande tecnico, appassionato di storia del baseball e attratto da filosofie orientali. Il titolo dell’opera è tutto un programma: “Baseball according to Lao-Tzu”. A questo pensatore cinese del IV-III secolo a. C. è attribuito il “Tao te ching”, “Il libro della Via e della Virtù”. Non male per il Baseball.  L’autore John W. Hart III si definisce come interprete, producendo un’opera interessante, anche se comporta qualche problema, almeno per me, di traduzione dall’inglese (immaginiamoci dal cinese di quasi ventiquattro secoli fa). Leggendolo, si ha la possibilità di cogliere le mille sfaccettature del nostro mondo, che ha origine nella nostra luce interiore, per ritornare alla essa. Più che meditazione, osservazione, focalizzazione. Fra i tanti versetti, sono stato colpito da alcuni: “Gli stati si governano con le leggi,/ le guerre sono combattute da assassini/ Tu vinci una partita lasciando tutti in pace/ So questo nel profondo del mio cuore…”. Una dichiarazione piuttosto esplicita: nel baseball ‒ e nello sport in genere ‒ si resta a un gradino più elevato: la vittoria e la sconfitta non incidono sui rapporti far le persone. Certamente, non si arriva per caso a una simile condizione, visto che ogni giorno aumenta il numero delle leggi e dei guerrafondai. Il baseball è luce, quella luce che definiamo verde quando lasciamo libertà di azione. È la luce che splende negli occhi di un bambino la prima volta che batte e giunge salvo in prima. È la luce di chi sa guardare lontano, oltre ogni cosa. Certo, il campo da baseball non è il campo dei miracoli, ma è, in ogni caso, un punto di incontro. Si, perché le squadre si incontrano, non si scontrano. La “banda degli assassini” degli Yankees, negli anni Venti, ‒ the murderers’ row ‒ composta da Earle Combs, Mark Koenig, Babe Ruth, Lou Gehrig, Bob Meusel e Tony Lazzeri (un americano, tre, forse quattro, di avi germanici e uno di origine italiana) sparava fuoricampo, “fucilate” che non ammazzavano nessuno. Un campo da baseball è un luogo in cui il braccio e la mente, come si suol dire, trovano una imprescindibile collaborazione. Dentro di sé ogni giocatore, ogni manager, si porta la propria storia, per fare una nuova storia. Come la vita quotidiana, il batti&corri è fatto di attimi, irripetibili. Irripetibili, poiché collegati a sensazioni che colpiscono tutti i nostri sensi, e non solo. Spesso una partita di baseball è equiparata a una forma drammaturgica, coi suoi attori, le sue battute, la sua coreografia, con un finale che resta sempre da riscrivere. C’è tensione, pathos: le urla del trionfo e le lacrime della sconfitta. Forse questo lo capiamo poco. Chi segue la stampa americana, per esempio, si rende conto di quanto ciò che è accaduto ieri è definitivamente passato. Certo, ci sono commenti e previsioni, ma il “game over” è un dato di fatto. Il giocare tutti i giorni, con tutta probabilità, impedisce lo strascicarsi dei commenti, delle illazioni più strampalate. Per noi è difficile accettare qualsiasi verdetto, per cui tutto diventa si complica. Rimuginare in continuo ci blocca, ci impedisce di guardare avanti, portandoci in un vicolo cieco. Non so cosa viene insegnato nei vari corsi, ma credo che certi aspetti non vengano affrontati in modo approfondito, così almeno mi risulta da quanto vedo in campo. Troppo il pressapochismo, troppa l’arroganza di tanti saputelli. Proprio per questo non possiamo permetterci di stare a guardare, in ogni campo. Anziché sussurri e grida, abbiamo il dovere di esporre le nostre ide, di buttare sul tavolo i nostri cinque centesimi di pensiero e giocare, con tutta la nostra intelligenza e formazione. Si, proprio con la formazione. Non basta tirare, prendere, battere e correre; bisogna fare di più: studiare. Studiare partendo dalla storia, del perché siamo qui ora a fare baseball e softball; solo la conoscenza e la consapevolezza ci possono aiutare a lavorare per il futuro, con grande naturalezza e senso di solidarietà. Perché non siamo soli, non possiamo giocare da soli. L’idea di libertà non è quella del libertinaggio. Occorre renderci conto che, ci piaccia o no, che abbiamo una missione da compiere e che, alla fine, nessuno può restare in panchina, perché, secondo Lao-Tzu “Più tieni le cose sotto controllo/ più alteri l’armonia”, ma “l’allenatore non lo desidera”, per cui “.La squadra torna all’essenziale”. Difficile, vero? Ma se fosse facile, almeno a baseball, non ci giocheremmo.

 

Giuliano Masola, 27 agosto 2018