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4 luglio 1918, la “partita del Re”

di Giuliano Masola. Ci sono dei momenti, anche durante la guerra, in cui gli uomini si rendono conto di essere tali, riuscendo a passare dallo scontro all’incontro, magari attraverso lo sport. “La partita di Natale” del 1914 ha dell’incredibile. In una località delle Fiandre, alle primi luci dell’alba del 25 Dicembre la Terra di Nessuno ‒ 50 metri di terreno che dividevano le trincee inglesi e tedesche ‒ era sgombra; i cadaveri che fino alla sera prima giacevano senza nessuna sepoltura, non c’erano più. Dall’altro lato del fronte, sul bordo dei fossati in cui i soldati del kaiser si nascondevano, iniziarono ad apparire, una alla volta, delle fioche fiammelle, che in quella mattina senza sole e senza vento iniziarono a brillare. I tedeschi continuarono ad accendere candele, e alcuni andarono ad addobbare gli alberi intorno. Poi, una voce intonò una melodia e subito molte altre la seguirono: I tedeschi cantavano una canzone di Natale. Gli inglesi, deposte le armi, toltisi gli elmetti e alzatisi in piedi, risposero a quel canto ben noto a tutti: Stille Nacht, Silent Night.

Da entrambe le parti vennero gridate promesse di pace: nessuno voleva più sparare. I soldati dei due schieramenti si trovarono e si riconobbero, non più come nemici da combattere, ma come simili con l’unico comune desiderio: trascorrere un Natale normale. In una vera festa, fragorose risate finrono per contagiare tutti i presenti, aldilà del colore delle divisa. In mezzo alla baldoria, qualcuno calciò dal fondo della trincea inglese un pallone di stracci. Un tedesco grande e grosso, più ubriaco degli altri, colpì di punta la palla scagliandola lontana per iniziarne l’inseguimento. Tutti corsero dietro a quel pallone raffazzonato, urlando di gioia come dei bambini. Non ci furono squadre, né porte o limiti del campo, né tanto meno arbitri o regole: 50 in campo, nell’altro 70. La partita, continuata fino a notte fonda, pare sia terminata sul 3-2 per i tedeschi, ma nessuno l’ha mai omologarla. Purtroppo il sogno della pace svanì già all’alba del giorno successivo: la guerra, chiamata Grande, durò per altri quattro lunghi anni, facendo milioni di vittime. C’è un altro caso che ci riguarda sportivamente più da vicino. Il Quattro Luglio, l’Indipendence Day, è una festa più importante, celebrato in qualsiasi posto dove ci sia un americano; è stato ripreso in tanti romanzi, opere teatrali e cinematografiche innumerevoli volte. Gli Stati Uniti, che avevano deciso di entrare in guerra nel 1917 a fianco dell’Intesa, erano particolarmente presenti in Inghilterra. Quel 4 luglio 1918, un giovedì; Londra sembrava diventata una città americana. Dappertutto, anche sulle principali sedi istituzionali civili e religiose, alle bandiere inglesi erano accostate quelle americane. Festeggiare la rivolta contro gli antichi padri inglesi di 142 anni prima poteva sembrare un paradosso, ma Winston Churchill, che capiva quanto fosse indispensabile l’aiuto americano per vincere la guerra, fu molto chiaro: “Il Quattro Luglio non sarà più solo una ricorrenza americana poiché celebreremo sia la Magna Charta, sia la Dichiarazione d’Indipendenza”. Il clou della giornata, però, era rappresentato da una partita di baseball, molto attesa soprattutto da americani e canadesi. Decine di migliaia di persone si diressero verso Chelsea, anche perché Sua Maestà il Re Giorgio V avrebbe presenziato alla partita; nessuno si aspettava, però, che che si immergesse tanto rapidamente nello spirito della giornata. La ressa per entrare allo stadio fu tale da rendere impossibile trovare un taxi a distanza di chilometri. Allora, il materiale da baseball scarseggiava molto in Inghilterra, ma fortunatamente palline, mazze, guanti e basi vennero recuperati dalla torpediniera Kansas, mentre per confezionare le uniformi si era lavorato tutto il fine settimana precedente. La “partita del Re” vedeva di fronte i rappresentanti del Quartier generale dell’Esercito e della Marina. I giocatori dell’Esercito avevano un cappellino blu e una casacca grigio-verde chiaro con una A sul petto e una bandiera americana sulla manica sinistra. I giocatori della Marina indossavano un completo blu scuro bordato di rosso. Solo alcuni giocatori avevano esperienze precedenti di un certo livello. Il lanciatore dell’Esercito, Ed Lafitte aveva affrontato Walter Johnson dei Washington Senators, quando era coi Detroit Tigers,. Nella Marina, c’era il velocissimo Mike MacNally, che aveva segnato il punto vincente dei Boston Red Sox nelle World Series del 1906, nell’ultima parte del quattordicesimo inning; Herb Pennock, suo compagno di squadra, aveva lanciato con Babe Ruth e sarebbe tornato fra le fila della American League a guerra finita. Nessuno, però, aveva mai giocato con un sovrano in tribuna. Sappiamo quanto gli inglesi siano propensi allo humour, per cui i giornali dell’epoca si sbizzarrirono. In una delle tante vignette, si poteva vedere Sua Maestà, cui un imperturbabile maggiordomo porgeva palline da baseball su un piatto d’argento, preoccupato per aver rotto i vetri durante l’allenamento in giardino: la Regina lo avrebbe sgridato (quale consorte non l’avrebbe fatto?). C’era la guerra, però, per cui il problema poteva essere brillantemente superato: i danni erano il risultato di una incursione aerea nemica. La storica partita finì 2 a 1 per la Marina, in mezzo a un pubblico in tripudio. Cosa più importante, però, portò con sé il rafforzamento di un’amicizia anglo-americana che ancora persiste. Nessuno sport, per quanto popolare, può risolvere i conflitti in modo completo, ma può dare il proprio contributo. In un mondo che alcuni vorrebbero sempre più contrapposto e a immagine della propria distruttiva sete di potere, è bene che continuiamo a incontrarci per giocare a baseball. Ogni campetto va bene per divertirci e stare in compagnia, magari per fare la pace: non ci resta che trovarlo.

giuliano masola, Cannitello, 18 luglio 2018.

 

n.b.: per chi volesse saperne di più: Jim Leeke, Nine innings for the king. The day wartime London stopped for baseball, July 4, 1918, McFarland & Company, Inc. Publishers, Jefferson, North Carolina, 2015; https://www.foxsports.it/2016/12/25/la-partita-di-natale-quando-il-calcio-sconfisse-la-guerra/