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14 luglio

di Giuliano Masola. Dieci giorni separano le ricorrenze di due fra i più grandi avvenimenti “che sconvolsero il mondo” nel XVIII secolo: la Rivoluzione Americana (1776) e quella Francese (1789). Due avvenimenti in due mondi diversi, con obiettivi non esattamente uguali, destinati, però nel tempoa confluire. Di entrambi siamo sostanzialmente figli, poiché per raggiungere quegli obiettivi di dignità umana, libertà, fratellanza e uguaglianza ancora lottiamo. Negli anni Ottanta del Settecento, il baseball ancora non esisteva. C’erano però giochi che ad esso avrebbero portato: il cricket, il townball e, perché no, le cuccole, il gerlo o lippa, e tanti altri.  Molti si sono chiesti il motivo della nascita del baseball, soprattutto ne hanno cercato le origini. Il motivo, con tutta probabilità è di ordine politico, trovare una forma di distinzione verso la madrepatria inglese.  Indipendenza, per i coloni americani, significava giocare a qualcosa di diverso dal cricket, qualcosa di autonomo, di indipendente (ciò avverrà successivamente con il football, americano appunto, diverso dal rugby).  Il processo verso forme di indipendenza e l’unità nazionale portano, pressoché naturalmente, a evidenziare la distinzione, la peculiarità,, il carattere nazionale.

Il gioco non è nato per caso, solo per tener buoni i bambini. In realtà è una continua sfida, un’alternativa al combattimento vero e proprio; non solo, poiché è anche una palestra in cui si allenano, si accrescono e si affinano le abilità, non solo fisiche. In ogni sport l’obiettivo è la vittoria, ma per ottenerla occorre un grande impegno e un pizzico di fortuna. Soprattutto è necessaria una grande determinazione. Proprio per questo il gioco ha una valenza educativa e politica, attraverso la  formazione mentale. L’attività ludica non si svolge solo in impianti sportivi, ma anche davanti a un computer, in modo interattivo. Ciò fa drizzare i capelli in testa, poiché tiene lontano tanti giovani dai campi aperti, ma occorre considerare che anche questo comporta un lavoro mentale non banale: ben lo sanno gli amanti della fantascienza quanto sia antica la sfida fra uomo e macchina (chi non ha letto “Io, robot” Asimov o, per venire a tempi molto più recenti, non ha visto “2001 Odissea nello spazio” di Kubrick?). Mente e fisico devono lavorare insieme per ottenere un risultato. Parlavamo all’inizio di rivoluzioni e di conseguenze. Mentre quella francese ha costituito, fra l’altro la base di partenza del grande, per quanto breve, successo militare di Napoleone in Europa, quella americana ha costituito il punto di partenza per una conquista interna, sintetizzata in  quel  “Go to West” che ha spostato progressivamente i confini della neonata repubblica da oriente a occidente, da Manhattan a S. Francisco. Teoricamente, avremmo dovuto leggere tanto della rivoluzione francese: i nostri “giornalini” avrebbero dovuto essere basati sulle vittorie dei sanculotti o degli eserciti del grande Corso, ma quasi nulla di tutto questo. Abbiamo letto, invece, “Tex”, “Capitan Miki”, “Il grande Black”, oltre a “Topolino”, naturalmente; cose americane, pur attraverso l’opera di grandi fumettisti italiani. Quelle avventure ci hanno formato, anche se non ce ne siamo resi conto: abbiamo visto l’America, e perduto di vista la Francia, per così dire. Sarà perché la Francia ha preferito giocare a bocce? Ciò fa pensare e dovrebbe farci comprendere la delicatezza del nostro ruolo, anche nella nostra città. Il baseball non è solo un gioco, ma una forma mentale. È il modo di conquistare, una tappa dopo l’altra, nuovi e ardui obiettivi. Il baseball, scusate il parolone, è “olistico”, cioè il risultato finale è superiore alla somma, per così dire aritmetica, delle nostre singole abilità. Ben sappiamo quanto il corpo e la mente debbano lavorare per impugnare e tirare una palla e una mazza, lanciare e prendere una palla, correre in modo corretto e produttivo, usando sempre la testa. Chi segue i giovani sa quanto serva, inoltre, un’opera di continuo coinvolgimento e convincimento, soprattutto poiché la preparazione richiede tempi molto lunghi. La fatica di cercare bambini e bambine da far giocare è spesso vanificata, purtroppo, da carenze soprattutto motivazionali. Dobbiamo renderci conto, a mio parere, di quanto il gioco debba essere visto come tale, cioè come forma di divertimento. Mi chiedo sempre perché quando i bambini quando giocano fra di loro si divertono (anche in mezzo a qualche spintone di troppo), mentre quando hanno indosso una divisa smettono di farlo, o quasi. Forse si chiede loro qualcosa che è un po’ a loro estraneo, forse perché le regole sono fatte dagli adulti, forse perché non si sa più bene cosa sia il divertimento.  Dovremmo farci qualche meditazione, qualche pensata. In una città che pare compiacersi in una sorta di decadenza bizantina come la nostra cara Parma, dovremmo cominciare a scuoterci, a preparare una rivoluzione, o meglio una ri-evoluzione. Il nostro amato sport ha vissuto tanti momenti difficili e ha sempre saputo rialzare la testa. Credo fortemente che si possa tornare non tanto a essere grandi, ma in grado di riaffermare il nostro modo originale di approcciare il tema sportivo. Continuiamo a piagnucolare, a dirci che siamo in pochi, che non abbiamo mezzi, ma la limitatezza delle risorse è stata la molla che ha spinto l’uomo ad alzarsi in piedi, a uscire dalle caverne, ad andare nello spazio.  Continuerò fino alla noia a ribadire la necessità di uno stretto scambio di idee – non tanto di cambiare idea – di accumunare sforzi e obiettivi. Se lo facciamo potrebbe darsi che un nuovo fantasma cominciasse ad aggirarsi; un fantasma buono: quello del baseball. Giuliano Masola, 15 luglio 2017