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Scarpe slacciate?

Scritta appena ieri… uno spunto per riflettere.

 di Giuliano Masola. Chi mi conosce sa che preferisco il gioco giocato ai tempi morti. Qualcuno si lamenta anche un po’ di questo mio atteggiamento, specialmente in campo, ma non credo riuscirò a cambiare. Una delle cose che mi danno più fastidio sono le interruzioni di gioco chieste da giocatori e allenatori a causa delle scarpe slacciate: non succede solo coi ragazzi. A certi livelli un po’ più alti, i lacci sciolti rappresentano la scusa per dar respiro al giocatore, o alla squadra, dopo qualche azione non brillantissima, oppure per rompere il tempo ai lanciatori. Per chi arbitra, non è difficile rendersene conto: finché ciò sta in certi limiti, fa parte del gioco.

Avere le scarpe allacciate, purtroppo, è una di quelle cose che i ragazzi difficilmente riescono a mettersi in testa e che non imparano tanto presto. Recentemente, andando in una scuola, ho avuto un ragazzo di quarta elementare, più alto e grosso di me, che non sapeva farlo: le scarpe gliele ha allacciate un suo compagno! Le calzature sono un elemento importante, talvolta perfino determinante. Così come tutto il resto dell’attrezzatura vanno curate e ben trattate, una volta finito l’allenamento o la partita. L’amico Gigi, che è stato allenatore di mio figlio per diversi anni, cominciava a insegnare il Baseball partendo dallo spogliatoio. Le scarpe dovevano essere pulite, in ordine e bene allacciate. Se non era così, niente baseball. Ciò faceva rendere conto ai ragazzi quanto il nostro “vecchio gioco” dovesse essere rispettato; rispettarlo significava (e significa) aver considerazione di se stessi.  Considerazione, rispetto, ma anche minori costi; quanto materiale viene buttato poiché non manutenuto? Si dice spesso che uno dovrebbe “mettersi nelle scarpe degli altri”, cioè comprendere l’altrui stato d’animo. Ancor più usato è il “fare le scarpe a qualcuno”, cioè eliminarlo, per prenderne il posto e relative ricchezze, oltre il potere). Ci sono delle sedie che ogni quattro anni dovrebbero cambiar possessore, come quest’anno. Quella di presidente della FIBS forse non è una delle più importanti nel mondo sportivo italiano, ma è sempre una sedia. Già da tempo le acque sono agitate e pesci più o meno grossi si danno più o meno velatamente battaglia. Tutti hanno un preciso obiettivo e, come normalmente accade, un programma che, una volta realizzato, porterà l’Italia a vincere i Mondiali, come minimo. La concorrenza è fondamentale per il miglioramento; è un principio darwiniano. Certamente sono tutte brave persone, cariche di voglia di fare (che cosa, purtroppo, si potrà vedere a consuntivo). Certamente, avranno le scarpe bene allacciate con qualche tipo di nodo marinaro inestricabile, per evitare sorprese. Oltre a ciò, avranno un”chiaro” programma, con tanti bei punti, talvolta un po’ pretenziosi. Forse hanno anche alle spalle qualcuno disposto a investire su di loro (e, teoricamente, sul Baseball). Una cosa che però spesso manca, oppure è allo stato di alta fumosità, è la squadra che dovrebbe stare intorno a chi concorre. A mio parere, questo è un punto troppo trascurato. A chi è interessato maggiormente – le Società – quasi non si interessa, salvo lamentarsi immediatamente dopo. Ciò fa parte della mancanza di una visione sia pratica, sia politica (nella migliore accezione del termine). Quando si elegge un presidente occorre essere molto coscienti del fatto che, contestualmente, si eleggono i responsabili degli organi federali, compresi Arbitri, Tecnici. È vero che il presidente è legalmente l’unico responsabile della Federazione, per cui tutto può, ma è anche vero che le Società, così facendo, gli concedono carta bianca. Come succede (o dovrebbe succedere) il voto è l’unico momento in cui si ha una carta da giocare, per cui occorre sia partecipare al gioco, sia giocare nel modo più consapevole possibile. Tanti anni fa, ho partecipato ad alcune elezioni per la presidenza federale. Non è una cosa semplice, poiché si finisce per essere parte di questa o di quella cordata, cordata in cui ci possono essere persone con obiettivi assolutamente contrapposti, ma che pensano che “quello” sarà il presidente giusto. Bisogna stare molto attenti. Spesso, ci si lascia prendere la mano da chi ci convince che siamo in California, o in Florida. Siamo solo in Italia, o meglio in qualche regione del nostro Bel Paese e che, forse, sarebbe bene ricominciare dalle aste (anche se credo non si usino più).  Non so cosa succederà questa volta. Suggerirei solo a chi andrà a votare di allacciarsi bene le scarpe, non per paura di farsele portar via, ma per evitare di inciampare a causa dei lacci sciolti. Oltre a ciò, suggerirei una valigia piena di umiltà, della capacità di rendersi conto del grandissimo lavoro che c’è da affrontare. E, se chi uscirà dalle votazioni non sarà quello da noi stimato per migliore, non sarà una sconfitta, poiché fa parte del gioco. Per il resto, gambe in spalla. Giuliano Masola 23 ottobre 2016